1978 /1979
– Prima battaglia contro l'inserimento del Comune di Castello
d'Argile nel Consorzio Socio Sanitario di S. Giorgio di Piano - Usl
25.
Inizia la collaborazione con il Resto del Carlino per aiutare
la “causa”
Un
fatto nuovo ed importante per la popolazione del paese mi indusse a
spostare la mia attenzione fuori del mondo della scuola e a dare
inizio ad una lunga battaglia contro
l'inserimento di Castello d'Argile nel Consorzio Socio Sanitario (poi
USL 25) di S. Giorgio di Piano, voluto
dal sindaco Guido Maccaferri e dai responsabili DC-PSI
dell'Amministrazione comunale e pure dalla minoranza PCI, con
conseguente distacco dal Consorzio Socio
Sanitario di Cento,
di cui fino ad allora il Comune di Argile aveva fatto parte, avendo
usufruito da sempre dei servizi ospedalieri e territoriali di Cento
e Pieve, più vicini e facilmente accessibili per tutti.
Per
impedire che quella nuova scelta degli amministratori e delle forze
politiche (motivata, anche se non esplicitamente, dalle loro
migliori relazioni, legami e convenienze con il mondo politico
bolognese) si concretizzasse e diventasse irreversibile nella fase
di attuazione del primo
Piano Sanitario regionale,
come rappresentanti dell'A.Ge.A
(primi firmatari io, Alberto Chiarini e Rita Fortini), inviammo una
lettera al Sindaco Maccaferri con una precisa richiesta perchè il
Consiglio comunale si esprimesse ufficialmente in modo favorevole
all'aggregazione con Cento e Pieve, sia per i servizi sanitari che
per il Distretto Scolastico.
Ritenendo
che fosse utile far conoscere al più presto la situazione e le
conseguenze di questa scelta agli abitanti di Castello d'Agile che ne
erano all'oscuro, e anche ai cittadini e alle forze politiche in
ambito provinciale, scrissi un articolo per il
quotidiano Il Resto del Carlino, Cronaca di Bologna, e lo portai
personalmente in redazione, pur senza avere in quell'ambito alcuna
conoscenza o presentazione d'altri, per perorare la causa.
Articolo
che fu accettato e pubblicato il 23 novembre 1978 e segnò l'inizio
di una collaborazione giornalistica con il
Carlino che durò circa 10 anni,
per sollecitazione del Capocronista di allora, Paolo Francia, che mi
propose come corrispondente locale per vari comuni della pianura
bolognese, oltre ad Argile, e non solo per i problemi della Sanità
(nonostante che qualcuno dal paese avesse “amichevolmente”
sconsigliato il capocronista di pubblicare i miei testi perchè
presunta “socialdemocratica”
non attendibile).
Seguirono poi, per tutto l'anno
1979, Assemblee pubbliche, lettere (sempre
scritte da me e firmate da tanti altri) a forze
politiche, altri articoli miei, volantini e una petizione,
promossa da me e dai pochi disposti ad esporsi,
che raccolse 640 firme di argilesi, nonostante l'ostilità
del sindaco Maccaferri e dei consiglieri comunali di quasi tutte le
forze politiche, tranne il PSDI, che con Raffaele
Pizzirani e gli altri colleghi fin dall'inizio si schierò con il
prevalente desiderio della popolazione, favorevole a mantenere
l'aggregazione con Cento. A livello regionale, solo il Consigliere
PLI Gualtiero Fiorini manifestò interesse e favore per la petizione
nostra con una interpellanza, che peraltro ebbe risposta negativa
dall'Assessore alla Sanità (PCI) Triossi.
Dopo l'iniziale ostilità, a seguito
delle pressioni di tanti suoi elettori (Chiarini, Mario Costa, i
Bovina, i Fortini e tante altre famiglie intere di firmatari...),
anche la Dc locale si pronunciò finalmente a favore
dell'aggregazione con Cento; ma questo causò la rottura con i
rappresentanti del PSI che uscirono dalla Giunta
e determinarono le dimissioni di tutti i membri nel giugno 1979.
1 gennaio
1980. Prima battaglia persa. La Regione mette Castello d'Argile
nell'USL 25
La
Riforma Sanitaria entrò in vigore, insieme al Piano
Sanitario Regionale che inseriva Castello d'Argile nell'USL 25 di S.
Giorgio di Piano,
non tenendo in alcun conto la petizione popolare e il parere
espresso a maggioranza dal Consiglio comunale il 14 giugno 1979;
favorevoli a Cento i consiglieri DC e PSDI, contrari quelli di PSI e
PCI che sostenevano la utilità di aggregarsi a S. Giorgio perchè –
a loro dire - si sarebbe potuto poi usufruire ugualmente di tutti i
servizi sanitari della USL di Cento, in nome della libertà di scelta
garantita dalla legge.
Nel
corso dell'anno, con le nuove elezioni amministrative comunali, si
ricompose l'alleanza DC-PSI, con l'aggiunta del PRI,
rappresentato dal dott. Lamberto Ardizzoni, che negli anni
precedenti si era schierato a favore della aggregazione sanitaria con
l'USL 25; fu escluso dall'accordo il PSDI,
diventato
scomodo e malvisto dagli altri partiti per la sua chiara e netta
posizione pro Cento nella questione delle USL
1981.
Per
motivi di famiglia devo dire addio all'insegnamento e al mondo della
scuola
Trovandomi
in attesa della mia quarta figlia (Federica), mentre le condizioni
di salute di mia madre (che, vedova dal 1964, viveva con me)
peggioravano e cominciavano a richiedere aiuto e assistenza
frequenti, dovetti prendere una decisione
drastica: dare le dimissioni da insegnante e lasciare la scuola. Fu
una decisione molto sofferta,
dopo che avevo fatto tanta fatica e 4 concorsi per conquistare il
fatidico posto “di ruolo”, e dopo che, con varie tappe di
avvicinamento dal ferrarese, avevo ottenuto finalmente la sede di
lavoro a due passi da casa mia. Avevo appena vinto un concorso “per
merito distinto” che mi aveva fatto salire all'ultimo gradino
nella scala della anzianità di “carriera”. Rappresentante
sindacale dei maestri per il Sinascel
ed eletta dai colleghi collaboratrice “vicaria”
della direttrice didattica, sempre in prima fila per difendere la
categoria (anche se poi, in qualche circostanza, avevo dovuto subire
piccole ostilità). Senza contare che il mio lavoro mi piaceva, lo
facevo con passione, avevo un buon rapporto con ragazzi e genitori ed
era una parte importante della mia vita; mi sembrava quasi
impossibile dovermene privare.
Ma non c'era altra scelta; se fossi restata comunque in servizio
sarei stata una pessima insegnante, costretta a frequenti assenze, e
avrei inevitabilmente trascurato o curato male sia i miei figli che
mia madre. L'idea di ricorrere all'aborto (allora già legalmente
consentito) e ad un eventuale ricovero di mia madre in una casa di
riposo era per me inaccettabile (oltre che impraticabile per le sue
particolari condizioni).
Pertanto, grazie ad una legge allora in
vigore, potei dimettermi e ottenere subito una piccola pensione;
rinunciai a tutte le piccole collaborazioni giornalistiche legate al
mondo della scuola, conservando solo quella con Il Resto del
Carlino, che mi lasciava molto libera, senza orari e senza
obbligo di scrivere un determinato numero di articoli, e sempre a mia
scelta.
Nei momenti lasciati liberi dalle
incombenze famigliari ho continuato quindi a scrivere articoli, in
particolare, sui problemi della sanità e dei cittadini che
protestavano per la predestinata chiusura degli ospedali
allora esistenti a Pieve e a S. Pietro in Casale e in
particolare anche sulla cattiva qualità dell'acqua “rossa”
erogata dal pubblico acquedotto gestito allora dall'Acoser, e
oggetto di proteste ad Argelato, Baricella e Castello d'Argile.
1983.
Contro le bollette trimestrali del gas a consumo presunto. Volantini
e referendum (vinto)
Dopo due anni di tribolazioni, visite, medicazioni, lunghi periodi
degenza in ospedale a Bologna e a Cento, la situazione di mia madre
arrivò alla dolorosa necessità dell'amputazione di una gamba, con
conseguente stato di invalidità permanente, che si protrarrà per 9
anni. Pur tra le difficoltà personali che questo comportava, non
rinunciai al mio impegno per i problemi pubblici,.
Agli
inizi del 1983 il Comune informò i cittadini che la Società
Gastecnica Galliera (che
aveva in gestione il servizio di erogazione del gas), in accordo con
l'Amministrazione comunale, aveva deciso di introdurre un nuovo
sistema di fatturazione e di pagamento dei consumi del gas, passando
dalla bollettazione mensile su consumo reale ad una bollettazione
trimestrale anticipata su consumo presunto, con conguaglio a fine
anno
(simile a quello dell'Amga
di Bologna).
Il
fatto suscitò subito critiche e proteste e un gruppo di cittadini
si rivolse a me per invitarmi a collaborare ad un comitato e
attivare iniziative per far ritirare tale provvedimento. Accettai,
mi informai e sull'esempio di quanto stavano facendo anche nei comuni
di Galliera, S. Pietro in Casale e S. Giorgio di Piano, decidemmo di
diffondere innazitutto un volantino di informazione e di
segnalazione ai cittadini delle conseguenze onerose e non
convenienti, sia per l'aspetto economico che per la poca chiarezza e
l'impossibilità di controllare i complicati conteggi che il nuovo
sistema di pagamento avrebbe comportato per gli utenti; titolo del
volantino“Bollette
trimestrali “vantaggiose” per chi?”
Stesse
argomentazione furono inviate all'Amministrazione comunale, il
7-2-1983, con varie firme oltre alla mia (Claudio
Evangelisti, Rino Facci, Angelo Passerini, Luigi Cavicchi, Salvatore
Rubini, Fabio Melotti, Carla Bottazzi, Giancarlo Cocchi, Alessandra
e Maria Cristina Draghetti.
La contestazione ebbe una prima risposta negativa e di difesa
della scelta dell'Amministrazione comunale da parte del sindaco
Maccaferri (28-3-1983), ma nel contempo fu promesso un riesame del
problema e un impegno ad approfondire i termini della questione con
ulteriori informazioni e conteggi.
Stessa posizione, negativa ma insieme possibilista, fu espressa dal
Consiglio comunale del 21 aprile, dopo aver sentito l'esposizione dei
cittadini contrari. Persistendo e diffondendosi maggiormente la
contrarietà degli argilesi alle nuove megabollette, un successivo
Consiglio comunale del 25 luglio, dopo ampio dibattito e con pareri
contrastanti di consiglieri (il dott. Ardizzoni questa volta fu
favorevole alla petizione cittadina), apriva alla possibilità di
consultazione dei cittadini tramite un questionrio, delle cui
conclusioni il Consiglio avrebbe poi tenuto conto.
In
novembre fu quindi organizzato un referendum
consultivo locale che
vide in maggioranza i voti dei cittadini
contrari alle bollette trimestrali su consumo presunto.
E la Gastecnica Galliera, su invito
dell'Amministrazione comunale, dovette quindi ritornare al
precedente sistema di bollettazione mensile su consumo reale.
Fu la prima, piccola, vittoria ottenuta dall'impegno e dalla
partecipazione dei cittadini
1983-84.
Contro la nuova Circonvallazione (o raccordo tra la Provinciale Sud
e la Provinciale Nord). Opposizione e petizione inascoltata
Nel
1983 ci fu materia per un'altra controversia locale e venne dal
progetto di realizzazione di una nuova
circonvallazione o “raccordo” tra la via Provinciale sud e la via
Provinciale Nord,
utilizzando il primo tratto della via Oriente presso il mulino, per
proseguire su un tratto nuovo che avrebbe creato una stretta
curva a gomito tra
le abitazioni di Bottazzi, Bolelli-Taddia, e Maselli. Il progetto
esecutivo dei lavori fu approvato dal consiglio comunale il 24
-11-1983, favorevoli DC e PSI, contrario il PCI che però era in
minoranza; astenuto il dott. Ardizzoni del PRI.
Anche in questo caso ci fu l'opposizione di tanti cittadini, non
solo dei frontisti interessati e toccati dalla nuova strada, ma anche
di altri che ne vedevano la pericolosità. Fu avviata una petizione
che in pochi giorni raccolse 153 firme.
Ma
stavolta gli amministratori furono decisi a non
tenerne conto e rifiutarono di accogliere la richiesta di fare un
altro referendum consultivo come quello attuato contro le bollette
trimestrali.
Pur firmando anch'io la petizione, in questo caso rimasi un po'
defilata per non espormi troppo alla critica che già mi era stata
fatta di usare il Resto del Carlino per sostenere le battaglie
locali in cui ero impegnata personalmente. Preferii quindi segnalare
il problema soprattutto come cronista sul giornale, con vari
articoli.
Ma fu una battaglia persa.
Gli amministratori erano troppo decisi nel volere quella strada.
La
nuova circonvallazione si fece, partì nel 1986, fu chiamata “via
Nuova”,
e dette materia per nuovi articoli miei sul Carlino per i numerosi
incidenti che si verificarono sulla malcongegnata curva (13-8-1988).
1984/1985/
1987. Nuova battaglia per uscire dall'USL 25 ed entrare nella USL 30
di Cento. Vinta, questa volta.
Riprese la battaglia per uscire
dalla USL 25 di S. Giorgio e tornare alla 30 di Cento, in
occasione della discussione del secondo
Piano Sanitario Regionale triennale,
visti i tanti problemi emersi nel corso dei 3 anni precedenti con la
collocazione imposta dal primo Piano Sanitario regionale.
Con
delibera del 27-11-1984, il
Consiglio comunale di Castello d'Argile chiese alla Regione ,
stavolta con formulazione chiara e approvata all'unanimità, di
“riesaminare la precedente delimitazione
territoriale e di voler predisporre, in aderenza alla situazione di
fatto, la aggregazione del comune di Castello d'Argile alla USL 30 di
Cento ”,
anche a fronte delle nuove sollecitazioni pervenute da parte dei
promotori della petizione del 1979, con lettera del 19-9-1984,
firmata da me e da Mario Costa e inviata a tutti i consiglieri
comunali, forze politiche, presidenti di USL e Assessore regionale.
Decisiva anche la constatazione che nel corso degli ultimi 3 anni i
cittadini di Argile nella stragrande maggioranza avevano continuato a
chiedere di potersi servire delle strutture sanitarie di Cento e
Pieve; e se per gli ospedali dell'USL 30 la cosa era stata ancora
possibile, era mancato il coordinamento con gli altri servizi
territoriali e la guardia medica, che dovevano essere quelli
dell'USL 25, creando non pochi disagi e difficoltà di gestione e di
intervento di controllo da parte degli amministratori.
Un aiuto decisivo venne infine da una interpellanza presentata il
28 febbraio 1985 dai consiglieri regionali DC Alberto Candini e Renzo
Contini e dal successivo progetto di legge regionale presentato da
Candini il 5 marzo con precisa richiesta di modifica degli ambiti
territoriali delle due Usl e inserimento di Castello d'Argile nella
USL 30 di Cento.
Il progetto fu
approvatoall'unanimità,
e Castello d'Argile tornò a far parte
dell'ambito territoriale con Cento e Pieve, a partire dal 1 gennaio
1987.
Intanto
ad Argile nel 1986 era diventato sindaco Mario Bortolotti, per
dimissioni di Guido Maccaferri, che lasciava dopo 3 legislature e 16
anni di carica. Nel discorso di commiato dal Consiglio comunale,
Maccaferri (che pure va ricordato per il suo attivismo e per
l'impulso dato alla crescita del paese, anche se con scelte non
sempre condivisibili e metodo piuttosto egocentrico) ringraziò tutti
quanti per la collaborazione ricevuta e riservò solo a me il
rimprovero per essere stata cronista “ingenerosa”
nei suoi confronti.
Mi
beccai anche i rimbrotti telefonici dell'Assessore regionale Triossi
per i miei “articoli
scandalistici”
che scrivevo sul Carlino per riferire della vicenda - USL; ma la
battaglia, per allora, fu vinta
(anche se poi si dovette ricominciare, e infine perdere, nel 1993...)
1987-89:
Arriva la vendetta dell'USL 25 nei miei confronti: una querela per
un articolo su un caso di inadeguato servizio di Pronto Soccorso a
S. Pietro in Casale. Poi ritirata, anche in seguito alla mia
controquerela per volantini dell'USL diffamatori contro di me.
Che
la mia attività di cronista desse fastidio alle
forze politiche che detenevano le massime cariche nei Comuni della
pianura e nelle strutture di gestione sanitaria e dei servizi di
gas-acqua
(quasi tutti a maggioranza PCI), sulla contrastata nascita
dell'Interporto, e altre vicende, era noto. I
miei quotidiani articoli davano spesso spazio alle proteste e alle
istanze di cittadini e alle prese di posizione delle minoranze nei
consigli comunali (DC e PSDI) e negli ultimi tempi anche degli
esponenti del PSI che avevano rotto Giunte PCI-PSI, assumendo
posizioni critiche nei confronti degli ex alleati. Di certo
disturbavano i manovratori i miei articoli che evidenziavano
problemi e fornivano informazioni che si preferiva fossero ignorati,
e disturbava il fatto che avessi una certa incisività ed efficacia
nelle mie cronache, sempre motivate e documentate e mai oggetto di
smentite.
Peraltro non ero neppure amata
dal “vecchio” sindaco DC del mio paese (l'unica
“mosca bianca” in zona tutta “rossa”), come ho già riferito
prima, e avevo dato dispiaceri anche ad altri esponenti DC di altre
località, dei quali avevo rivelato i comportamenti non esemplari
in vicende come il fallimento del Consorzio
delle cooperative “bianche” Co.In.Co di Pieve di Cento,
o certe diatribe intorno alla Gandazzolo
di Baricella.
Ammetto
che una cronista di provincia, pubblicista e non professionista come
me, che si ostina a segnalare disservizi e proteste e a voler essere
“indipendente” da chiunque abbia un potere, diventa molto
antipatica; ed è sola, anche se ha alle spalle un giornale
abbastanza importante come il Carlino
di
allora.
E
venne il giorno della vendetta, attraverso la prima
e unica querela
ricevuta in 10 anni di attività giornalistica. L'occasione per un
maldestro tentativo di mettermi in difficoltà e punirmi venne da un
articolo che scrissi il 24-11- 1987
per raccontare il caso di un giovane calciatore
dilettante di S. Pietro in Casale che si era infortunato ad un
ginocchio sul campo di gioco ed era stato visitato, medicato con
una semplice fasciatura rigida, tranquillizzato con una diagnosi da
“contusione” e mandato a casa dal medico di guardia in servizio
al Pronto Soccorso di S. Pietro in Casale, un
ospedale ormai in smobilitazione voluta dalla pianificazione
regionale e destinato a chiudere.
Non
convinti della diagnosi e di fronte al rifiuto di avere un'ambulanza
per il trasporto, il giovane era stato portato in auto
dall'allenatore-accompagnatore all'ospedale del Centro
Traumatologico-Ortopedico di Bologna, dove gli furono riscontrate
subito gravi lesioni al ginocchio che richiesero un ricovero
immediato e un delicato e lungo intervento chirurgico il giorno
dopo. Titolo forte dato dalla redazione “Va
all'ospedale col ginocchio a pezzi “Non è grave”, e lo dimettono
subito.”
Ebbene,
invece di preoccuparsi per il disservizio emerso, e rispondere alle
domande che io ponevo sulla incapacità di quell'ospedale di
fornire un reale servizio di Pronto soccorso, il presidente del
Comitato di
gestione dell'USL, Valter Gulinatti, autorità
politico- istituzionale che in teoria doveva rappresentare e tutelare
i cittadini utenti per conto dei Comuni, pensò bene di
querelare la sottoscritta per diffamazione.
Non
solo, ma si scatenò in una valanga di manifesti e volantini,
diffusi il 7 dicembre 1987 in ogni luogo pubblico dei Comuni
dell'ambito territoriale dell'Usl, che annunciavano: “La
USL 25 querela “Il Resto del Carlino”,
con una lunga requisitoria che indicava espressamente “ la
Sig.ra MAGDA BARBIERI “
(nome scritto in maiuscolo per evidenziarlo, ndr) autrice
dell'articolo, come colpevole di aver scritto il “FALSO”.
E via con una ricostruzione e interpretazione del caso che in realtà
non smentiva nulla di quanto da me descritto sulla base delle
testimonianze dei dirigenti sportivi presenti, ma si arrampicava
sugli specchi per giustificare il comportamento dei medici
intervenuti, senza tenere in alcun conto i fatti documentati (la
sottovalutazione della gravità delle lesioni con conseguente
diagnosi errata, il rifiuto dell'ambulanza con conseguente necessità
del trasporto con auto privata...).
Quei
manifesti e volantini rimasero in bella vista per mesi e li
incontravo dappertutto. Pur dispiacendomi
grandemente, mi dettero però l'opportunità di presentare a mia
volta una querela per diffamazione contro il presidente del Comitato
di gestione che mi aveva querelato e aveva firmato quel manifesto.
Gli
accompagnatori del ragazzo, dirigenti dell'A.C.
Arci di Maccaretolo,
fortunatamente per me confermarono subito e sempre, a voce e per
iscritto, il loro racconto, disponibili anche al confronto in
tribunale.
Così la vicenda finì in mano agli avvocati di entrambe le parti (a
difesa mia e del direttore responsabile del Carlino c'era
l'avvocato della Poligrafici, Grassani) che si accordarono per
arrivare al ritiro reciproco di entrambe le querele, senza
conseguenze per nessuno. Io non ero affatto d'accordo con questa
scelta, perchè ritenevo che la mia querela fosse più fondata di
quella dell'USL 25; avrei voluto una sentenza chiara che dimostrasse
la mia correttezza, e non intendevo smentire una riga di quello che
avevo scritto.
Ma
la politica della Poligrafici e del giornale - mi si disse - era di
evitare per quanto possibile i conflitti con le istituzioni
pubbliche, e quindi mi dovetti rassegnare a mettere una pietra sopra
al caso e dimenticare di aver dovuto entrare in
tribunale e sedermi sulla panca degli imputati davanti alla gabbia
come un delinquente, per due volte, in
occasione delle udienze che vennero convocate e rinviate nel corso
del 1988.
Mi
si chiese infine di fare un articolo di “pacificazione” e di
comune approvazione, che uscì il 15 gennaio 1989 col titolo “Ed
il ginocchio fu ricucito”.
In esso feci il riassunto della vicenda, senza calcare la mano, ma
anche senza smentire quanto avevo riferito nel primo articolo
incriminato, anzi evidenziando che il giovane calciatore, ad un anno
di distanza dall'infortunio, e dopo le tante cure praticate, ancora
soffriva le conseguenze di quel ginocchio “contuso”.
Ci
sarebbe da riflettere poi sui soldi pubblici
spesi per manifesti, volantini e avvocati dall'USL 25 per diffamare
e mettere a tacere una cronista che aveva semplicemente e fedelmente
segnalato un caso di disservizio da parte di una struttura
pubblica....
Fu comunque la mia una piccola
vittoria morale, ma di breve durata. Il mio destino di giornalista
di provincia, apprezzata e cercata dai lettori, ma invisa a qualche
manovratore politico, era segnato.
Infatti,
pochi mesi dopo il ritiro delle querele, e pochi giorni dopo il detto
articolo, sarà stata una coincidenza, ma mi piovve in testa una
tegola di quelle che non lasciano scampo, e che mi
costrinsero alle dimissioni immediate da Il Resto del Carlino.
1989 - La
Direzione Provinciale del Tesoro “scopre” dopo 9 anni che la mia
attività giornalistica è incompatibile con la pensione e pretende
da me la restituzione di 53 milioni per “recupero erariale”!!!
Dimissioni forzate da Il Resto del Carlino
Un'infausta
mattina di fine gennaio 1989 ricevetti una comunicazione “urgente
“ della Direzione
Provinciale del Tesoro di Bologna che
mi invitava a recarmi nell'Ufficio competente per “comunicazioni”
riguardanti la mia modesta pensione di ex insegnante.
Cosa
che feci subito, pensando a qualche problema burocratico presto
risolvibile. Entrai nell'Ufficio tranquilla e ne uscii distrutta.
Con mio grande stupore e incredulità, una dirigente che mi parve
uscita da un racconto di Kafka, con voce stridula e implacabile, mi
informò che “per delicatezza” mi aveva chiamato per dirmelo di
persona, ma che comunque mi sarebbe a giorni arrivata per iscritto a
casa una ingiunzione di pagamento di 52 milioni
e 826 mila lire per “recupero erariale”
di tutta la indennità integrativa speciale che avevo percepito con
la mia pensione dal 1 settembre 1981 al febbraio 1989. Inoltre,
sospensione immediata della stessa contingenza a partire da marzo, e
una “trattenuta
cautelativa”
mensile di 99.927 lire per attivare comunque un recupero erariale
immediato, nella previsione che io volessi fare ricorso contro
l'ingiunzione che pretendeva il pagamento della
intera somma
entro 30 giorni.
Potevo
solo chiedere una rateizzazione, ma, nel caso non avessi provveduto
nei termini prescritti, si sarebbe proceduto al recupero
“coattivamente nei modi e nelle forme previste dal Regio decreto
del 1910...”. Cioè
mi mettevano sotto sequestro la casa.....
Il
micidiale provvedimento fu giustificato, dalla Direzione del Tesotro,
dal fatto che io in quegli anni avevo prestato attività
retribuita “da
dipendente”
della Poligrafici
editoriale s.p.a. Per
cui, secondo l'art. 17 della legge n. 843 del 1978, l'art. 99 del
DPR 1092 del 1973 e altre leggi precedenti non avrei avuto diritto
a percepire l'indennità integrativa speciale, che non
era cumulabile con altri redditi “da lavoro dipendente”.
E, a giustificazione della pretesa restituzione immediata con
effetto retroattivo,
mi
si accusava di aver prestato
“dichiarazioni mendaci in assoluta mancanza di
buona fede”
, firmando ogni mese il cedolino di ricevimento della pensione (!!!),
che avevano tratto in inganno l'Amministrazione pubblica e quindi –
a loro dire - con
“dolo”
da
parte mia.
Una
mazzata terribile per me che avevo sempre creduto di essere “in
regola”
con quel contratto da “corrispondente“ che mi
era stato presentato e mi aveva fatto firmare il capocronista Paolo
Francia, come perfettamente compatibile con la mia posizione di
pensionata statale.
A conforto della mia convinzione era anche il fatto che tutti i
corrispondenti locali avevano anche un altro lavoro o pensione da
dipendente privato o pubblico perchè i compensi che il giornale
dava erano talmente bassi che non si poteva certo vivere di quelli.
Un Patronato consultato nel 1981 in propositò mi aveva rassicurato
considerando che il mio rapporto col giornale si configurava comunque
come una “collaborazione”
coordinata e continuativa e non come una
dipendenza,
anche perchè non
c'era subordinazione
e venivo retribuita
ad un tanto per articolo o notizia fornita.
Ma,
c'era un ma
e una ambiguità
nella formulazione:
il contratto prevedeva, oltre ai compensi variabili per articolo
pubblicato, un compenso fisso di 53.000 lire
mensili che
dava diritto, e onere, al versamento di contributi INPS. Questo
poteva prefigurare sul piano giuridico un rapporto di “dipendenza”,
nonostante il rapporto professionale reale col
giornale fosse autonomo, non subordinato e libero da obblighi, orari
o numero di prestazioni; e la busta paga non prevedesse nessuna altra
forma di contingenza o indennità integrativa spettante solitamente
per i dipendenti.
A
smentire poi la ventilata
malafede
o il dolo da
parte mia stava il fatto che io stessa avevo
dichiarato la mia attività e l'esistenza del mio contratto alla
Pubblica Amministrazione e avevo sempre
dichiarato fino all'ultimo centesimo i compensi
percepiti nelle annuali dichiarazioni dei redditi.
Non
bastò certo spiegare queste cose e difendermi a voce negli incontri
avuti successivamente presso la Direzione Provinciale di Bologna,
ma dovetti affidarmi ad uno studio legale (avv.Carullo, tramite
l'avv. Cazzara) per il ricorso urgente
volto ad ottenere innanzitutto la sospensione del
provvedimento ingiuntivo del pagamento dei 53 milioni.
Sospensione che fu subito ottenuta
grazie appunto all'aver potuto dimostrare la mia
buona fede e la mancanza di dolo da parte mia. Si
procedette quindi a motivare il ricorso contro il provvedimento di
recupero erariale con tutte le documentazioni e argomentazioni del
caso.
Nel
frattempo, a scanso di ultetriori equivoci,
decisi di dare subito le dimissioni da Il Resto del Carlino,
per ottenere al più presto il recupero pieno della indennità
integrativa speciale sulla mia pensione che era la mia vera e certa
fonte di sostentamento (con 4 figli e una madre invalida con pensione
minima...).
La
causa contro il “recupero
erariale”
avrebbe potuto andare per le lunghe, se non che, per fortuna mia,
dopo alcuni mesi, il 22-12-1989,
la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo
quell'art. 99 del DPR 1092 del 1973 che
stava alla base del provvedimentto emesso contro di me, perchè
altri per vicende simili avevano sollevato e posto il problema
davanti alla Corte. E ci furono altri pronunciamenti favorevoli della
Corte dei Conti. Cosicchè, decaduto quell'articolo, decadeva anche
il provvedimento ingiuntivo nei miei confronti e
fui sollevata da quel micidiale incubo che
avrebbe messo in seria crisi economica la mia famiglia.
Ottenni anche la restituzione quasi totale della trattenuta
cautelativa mensile e della indennità integrativa speciale che mi
era stata tolta per i mesi da marzo in poi.
Ma nessuno poteva rifondermi le spese legali affrontate.
A
quel punto avrei anche potuto riprendere la mia
attività di corrispondente de Il Resto del Carlino,
e mi fu chiesto più volte da parte di capocronisti del periodo
successivo. Ma le angosce passate e anche la
delusione per il comportamento sfuggente di alcuni esponenti
dell'amministrazione della Poligrafici e del
capocronista
che mi aveva indotto a firmare quel contratto - capestro, ambiguo e
fonte di guai (“ma
nessuno le ha puntato una pistola contro”,
mi fu detto da qualcuno), mi tolsero ogni
desiderio di riprendere l'attività.
Non potevo più correre rischi simili per vedere la mia firma su un
giornale e per fare la parte del “difensore civico della Bassa” a
tutti i costi. E probabilmente avrei dovuto poi, per quieto vivere,
ammorbidire il mio ruolo, evitare le questioni spinose, tirare a
campare e limitarmi a fare le cronache delle inaugurazioni. Per me
non ne valeva la pena.
Anzi,
tentai una causa civile contro la Poligrafici
editoriale per
farmi rivalutare i compensi percepiti per articoli e notizie,
avendo constatato che erano stati sempre di gran lunga inferiori a
quelli previsti nei Contratti nazionali per le collaborazioni
giornalistiche. Era una impresa con scarse probabilità di successo,
con una controparte troppo potente e abituata a sottopagare i
collaboratori e non poteva certo fare un'eccezione per me. Infatti,
persi la causa in prima istanza e rinunciai ad andare avanti col
ricorso per non sprecare altri soldi in avvocati e consulenti.
Per la seconda volta quindi
nella mia vita avevo dovuto rinunciare ad una attività che mi
appassionava e che mi aveva dato anche soddisfazioni e apprezzamenti.
Umiliante per me fu il dover giustificare il mio ritiro, spiegando
esattamente i fatti, ma nella consapevolezza che molti non mi
avrebbero creduto, sospettando che io avessi voluto “fare la furba”
nascondendo una situazione di illegalità e che poi fossi stata colta
in fallo.
Ci
fu certamente chi brindò, o tirò un sospiro di sollievo, al mio
ritiro dal giornalismo di provincia. Qualcuno addirittura – mi fu
raccontato - si vantò di aver contribuito a “farmi
fuori”.
E non pochi (me compresa) pensarono che la Direzione provinciale del
Tesoro si fosse mossa contro di me anche per qualche segnalazione
(con telefonata o lettera anonima?) a cercare un punto debole nella
mia situazione contrattuale o una incompatibilità che mi
costringesse alle dimissioni.
Grazie
alle complicazioni e alle contraddizioni delle nostre leggi e norme
varie e alla ambiguità dei contratti dei corrispondenti pubblicisti,
al Tesoro non fu difficile trovare il pretesto, anche se poi
fortunatamente si rivelò infondato. Ma
rischiai grosso, mi costò non poco, e intanto il risultato di farmi
rinunciare a scrivere per il Carlino era stato raggiunto.
Ingoiai il boccone amaro, voltai
pagina e tornai ad occuparmi solo della mia famiglia. Per un po'.
1989 -
Comincio a dedicarmi alla ricerca di documenti e allo studio per
scrivere la storia di Castello d'Argile.
Dopo
vari mesi di astinenza dallo scrivere, incontrai ad una cena dei
Lions di S. Pietro in Casale Don Enrico Rizzo, parroco di S. Marino
di Bentivoglio,
che conoscevo come insegnante di religione alle Scuole Medie
Superiori di Cento dove studiavano i miei figli. Avendo appena
terminato il suo voluminoso libro di storia locale dedicato alla
Pieve di S. Marino nel territorio di Bentivoglio e frazioni, era
stato incaricato da don Mario Minello di scrivere la storia della
Parrocchia e del comune di Argile e lui aveva accettato, pur non
conoscendo molto della nostra località ed essendo un po' distante
dagli archivi di Argile. Don Rizzo chiese quindi a me di collaborare
con lui nella ricerca di documenti.
Dapprima
rifiutai, per timore di imbarcarmi in un'altra impresa onerosa e
difficile, trattandosi di materia, la storia locale, per me
interessante fino ad allora come lettore, ma senza averne competenza
ed esperienza specifica per scriverne. Ci pensai
su un po' le settimane successive, poi finii per accettare, con il
beneplacito di don Mario, limitando però il mio impegno iniziale
alla ricerca di documenti sull'ultimo secolo, di cui potevo avere
qualche maggior conoscenza storica generale e comodo accesso agli
archivi locali, parrocchiale e comunale.
Chieste
ed ottenute le necessarie autorizzazioni per la consultazione dei
documenti, mi resi conto di quanto materiale importante, interessante
e sconosciuto, ci fosse negli archivi; mi ci appassionai, e
intensificai le ricerche con costanza e frequenza per oltre due
anni, andando anche all'Archivio
di Stato di Bologna
per consultare documenti più antichi, visto che don Rizzo di fatto
non aveva nemmeno iniziato la ricerca per la parte antica di cui
avrebbe dovuto occuparsi; e visto che ogni giorno di più mi rendevo
conto della necesssità di risalire sempre più indietro nella
storia passata per capire il senso della storia più recente.
Passando
ore e giorni a spulciare vecchie carte per vicende di secoli fa,
credevo anche di poter svolgere un lavoro
tranquillo, che non dava fastidio a nessuno;
anzi mi nasceva già in testa l'idea del libro che avrei potuto fare
e che, forse, poteva essere apprezzato nel mio piccolo e quasi
sconosciuto paese, che fino ad allora veniva citato con appena
qualche riga (e spesso sbagliata) e non aveva mai avuto l'onore di
essere raccontato in un libro tutto suo di storia locale, a
differenza dei paesi vicini, tutti ricchi di pubblicazioni.
E invece no. A qualcuno davo
ancora fastidio e non voleva che fossi io a scrivere la storia di
Castello d'Argile.
Infatti, la sera del 23 dicembre 1991 il Consiglio
comunale deliberò “all'unanimità” ( con un solo astenuto) di
affidare l'incarico di scrivere la storia di Castello d'Argile a ben
8 professori, professionisti
esperti delle varie epoche storiche, insomma il Gotha
della storia locale del bolognese e del ferrarese. Coordinatori del
progetto, Mario
Fanti ex Direttore dell'Archiginnasio di Bologna e monsignor Antonio
Samaritani di Cento -
i più illustri e riputati - come direbbe il Manzoni, con una
squadra composta nientemeno che da Amedeo
Benati, Rolando Dondarini, Alfeo Giacomelli, Oriano Tassinari Clò,
Giampaolo Venturi e
la Nora Clerici
Bagozzi per
illustrare le opere d'arte.
La delibera fu presa all'insaputa di tutti, me compresa ovviamente,
l'antivigilia di Natale, e passò inosservata ai più. Divenne di
dominio pubblico il 7 febbraio 1992 con un articolo sul Carlino,
firmato dal nuovo collaboratore di zona Gianni Boselli, in cui si
dava notizia del grande evento.
Titolo:
“Ricerca storica a Castello d'Argile”.
Sottotitolo: “ Ricostruirà
le vicende del paese dal Medioevo ad oggi. Entro due anni sarà
pubblicato il primo volume. Raccolti i finanziamenti”
e nel testo si riferiva infatti di un “cospicuo
finanziamento”
già promesso dalla Cassa di Risparmio di Cento per le spese di
pubblicazione. Non si precisava però l'importo dello stanziamento
comunale
deliberato, che era di ben 30 milioni e 600 mila
lire spalmati sui bilanci di 3 anni, dal '91 al '93, per pagare gli
autori.
L'articolo poi si profondeva nel sottolineare che l'amministrazione
intendeva realizzare un volume “di
alta qualità … storicamente fondato sia per la metodologia di
ricerca che per la professionalità dei ricercatori ...
guidati da due
storici di fama internazionale”.
Messaggio chiaro direttamente
rivolto a me, tapina ricercatrice locale dilettante allo sbaraglio
che si stava impegnando da due anni e mezzo, per dirmi, a mezzo
stampa,
“ lascia
perdere, fatti in là che non sei nessuno. Il libro sulla storia di
Argile lo facciamo scrivere noi da chi se ne intende; tu non sei
all'altezza.”
Se non era uno schiaffo morale questo contro di me, non so come lo si
potrebbe definire ( forse anche una piccola carognata ...). Tra
l'altro, era pure un dispetto anche contro il buon don Mario che era
stato ed era ancora il fautore della iniziativa che doveva portare
alla pubblicazione del mio libro.
“Troppa grazia signori! Per
tagliar l'erba davanti alla sottoscritta bastava molto meno!”
scrissi io in una puntuta lettera di replica a quell'articolo,
pubblicata con qualche riluttanza (il capocronista temeva un'altra
querela ...) e dietro mia insistenza, il 3 aprile, ben due mesi dopo,
con la prudenziale premessa “riceviamo
e pubblichiamo”.
Nella mia lettera infatti, intitolata ”Una
ricerca senza sponsor”,
pur riconoscendo il diritto degli amministatori del mio comune a
commissionare libri di storia locale, e a mettere le mani nel
portafogli … dei cittadini in misura così rilevante, facevo
rilevare polemicamente lo strano tempismo di questa decisione,
presa dopo decenni di disinteresse e una recente ricerca
circoscritta al medioevo, affidata ad un'altra studiosa bolognese
(Paola Foschi) poi lasciata nel cassetto e non pubblicata per
mancanza di fondi.
Con la mia lettera facevo sapere inoltre a tutti, per necessaria
completezza di informazione, in primis agli illustri professori, che
di ricerca storica ne era in corso anche un'altra, la mia, e che
l'avrei portata avanti anche senza essere pagata da nessuno e senza
alcuna certezza di avere poi i finanziamenti da eventuali sponsor,
che avrei dovuto cercarmi sul campo a lavoro finito, per coprire le
spese di stampa.
Con
tutto il rispetto per gli illustri esperti, i cui libri pure io
leggevo, studiavo e apprezzavo, rivendicavo il
mio diritto a fare ricerche storiche sul mio paese, e scriverci un
libro, anche da dilettante,
come hanno fatto tanti altri appassionati, insegnanti o giornalisti.
Non importava quanto tempo ci avrei messo, ma
sarei andata avanti lo stesso, pur tra le difficoltà che la
concorrenza dell'iniziativa comunale mi aveva creato, sperando che
anche la mia opera potesse avere una sua utilità e dignità.
Apriti cielo, per le reazioni alla mia lettera! Intanto ero rimasta
completamente sola, perchè don Rizzo, che mi aveva attirato
nell'impresa, all'idea di dover competere con un luminare e
sacerdote come don Samaritani, si ritirò; anche perchè non aveva
di fatto nemmeno cominciato, lasciando fare tutto a me, che gli
portavo le fotocopie e gli appunti frutto delle mie ricerche sul suo
tavolo, dove giacevano inutilmente.
Monsignor Samaritani scrisse a Don Mario il suo sconcerto per quanto
aveva appreso dalla mia lettera, che considerava offensiva,
ventilando una possibile querela; ma al tempo stesso chiedendogli se
era vero che l'iniziativa della preparazione di un libro era stata
promossa anni prima dalla parrocchia, nel qual caso si sarebbe
ritirato lui, non volendo dare un dispiacere ad un confratello
sacerdote.
Non so cosa rispose esattamente don Mario, ma a me confermò il suo
appoggio e la sua disponibilità se me la sentivo di continuare. Non
ho mai saputo come abbiano reagito gli altri nel venire a sapere
che le motivazioni dell'incarico ricevuto non erano probabilmente
dovute solo all' interesse per la storia.
Certo è che il libro voluto dal
Comune non è mai nato,
probabilmente perchè gli studiosi coinvolti non gradirono il modo
in cui erano stati arruolati e la pubblicità data che si era
rivelata negativa; e forse anche perchè si resero conto che il
progetto su cui si basava l'incarico, con 250 pagine da dividersi
tra 8 autori, non era poi così entusiasmante e tale da permettere
la pretesa “alta qualità” e scientificità dei loro contributi.
Ma non mi fu mai detto nulla da nessuno e non seppi mai se e quando
decisero di rinunciare.
Io, pur con il morale a terra, ma
determinata, non volendo essere costretta a rinunciare un'altra volta
ad un impegno culturale che mi appassionava (dopo
la rinuncia all'insegnamento e al giornalismo),
continuai le ricerche; anzi, scandagliai ogni fondo archivistico
possibile, da Argile a Bologna, a Pieve e a Cento, a S. Giorgio di
Piano e a S. Pietro in Casale, con la massima attenzione, nella
convinzione, allora, di dover competere con i maggiori esperti di
storia locale, che avrebbero potuto ridicolizzare il mio lavoro se
avessi commesso degli errori. Era una sfida pazzesca, da
Davide con la fionda contro il gigante Golia. Ma alla fine ce l'ho
fatta, dignitosamente, credo.
Mio
marito mi sostenne a fronte del rischio economico per le spese, di
ricerca e di pubblicazione; poi, grazie all'intercessione di amici
(non argilesi) trovai l'aiuto disinteressato e generoso di Rossella
Rinaldi,
esperta di paleografia che mi “tradusse” i documenti più antichi
scritti in una calligrafia per me illeggibile. Infine, ottenni pure
la prefazione e presentazione, anche questa generosa e
disinteressata, di un docente dell'Università di Bologna, esperto e
qualificato come il professor Franco Cazzola,
che conoscevo solo attraverso le sue opere, ma che ebbe la
compiacenza di esaminare il voluminoso plico della bozza che osai
portargli e che lui accettò di leggere, valutandola poi con belle
parole di apprezzamento.
Avevo
raccolto tanto materiale e costruito una storia così
particolareggiata su “La terra e la gente di
Castello d'Argile e di Venezzano ossia Mascarino”, con
inquadramento e riferimenti anche alla storia d'Italia, di Bologna e
dei comuni limitrofi, che decisi di dividere la
materia in due volumi;
il primo, di 360 pagine, uscito nel 1994,
con la storia fino al 1600 compreso; il secondo volume, di ben 550
pagine, con le vicende dal 1700 ai giorni nostri, uscito nel 1997.
Quando
uscì il primo volume, mons. Samaritani ebbe la
gentilezza di scrivermi un biglietto di complimenti, lodando la
serietà con cui avevo trattato la materia. E
questo mi ripagò delle umiliazioni patite e mi confortò nella
convinzione che anche un dilettante, se studia e si impegna con
scrupolo, può fare qualcosa di buono.
Infine anche gli amministratori
del mio Comune fecero buon viso
(nonostante avessi ripreso la mia attività di cittadino scomodo
opponendomi ad alcune loro scelte emerse tra '92 e '93). Calato il
silenzio sul loro mega-progetto, fecero il grande sforzo di
deliberare l'acquisto di 64 copie del mio libro (delle 1.000 che
avevo fatto stampare), direttamente in tipografia come era previsto
per gli sponsor che pagavano il puro costo di stampa (il mio lavoro
era gratis): spesa pubblica poco meno di due milioni, a fronte del
fatto che avevo fatto risparmiare al Comune quei
30 milioni che erano stati deliberati per pagare gli autori da loro
incaricati e rimasti inutilizzati.
Il sindaco Bortolotti intervenne cortesemente alla presentazione del
volume I° e il Comune mi concesse il teatro per l'occasione.
Riuscii anche a racimolare un discreto numero di sponsor-acquirenti
privati, tanto da coprire un po' più della metà della spesa
tipografica (molto elevata per le dimensioni del volume e per le
caratteristiche tipografiche di qualità). I restanti me li portai
a casa io ( a mie spese) sperando di venderli (sempre e solo al puro
prezzo di rimborso del costo tipografico). Cosa che pian piano negli
anni seguenti avvenne, grazie anche al fatto che allora a Bologna e a
Cento c'erano ancora librerie che vendevano libri di storia
locale.
Adesso che non ne ho più, molti me lo chiedono e
sarebbero disposti a comprarlo.... ma una ristampa è inaccessibile
per i costi troppo elevati.
1992-1993
La proposta di chiusura della scuola elementare della frazione
Venezzano divide di nuovo la popolazione tra pro e contro. E mi
ritrovo a presiedere un nuovo comitato e a promuovere una nuova
petizione.
Nel corso del 1992, oltre ai soliti problemi di famiglia e
all'impegno per la ricerca storica che continuavo, mi trovai a
dovermi occupare di nuovo di un problema pubblico scoppiato nel
paese.
Stava
entrando in vigore il “Piano
di fattibilità”,
o riorganizzazione delle scuole elementari della Provincia, secondo
le direttive emanate dal Ministero che indicavano i parametri di
popolazione scolastica necessari per tenere aperto un edificio.
Fatti i conti dei nati negli anni precedenti,
nella frazione Venezzano (7 in media ogni anno), la popolazione
scolastica degli anni successivi sarebbe stata ben al di sotto di
quei parametri;
pertanto il Provveditorato agli Studi di Bologna con lettera dell'8
novembre 1990, e altri atti successivi, aveva comunicato al Sindaco
del Comune e alla Direzione didattica di Pieve di Cento la
proposta di accorpare tutti gli alunni del comune presso l'edificio
scolastico del capoluogo, cominciando dalle classi prime.
Tale proposta era ovviamente
fortemente avversata dalla popolazione della frazione, che contava
sull'appoggio del sindaco Mario Bortolotti (residente a Venezzano) e
della maggioranza del Consiglio comunale che non voleva dare inizio
ad un percorso che avrebbe portato alla chiusura di quella scuola.
La vicenda tenne in agitazione a lungo gli animi delle famiglie
interessate, oltre che degli organi collegiali, degli insegnanti e
delle forze politiche che temevano la rivolta degli elettori della
frazione.
Il
Consiglio comunale, in data 30 giugno 1992,
(nella
speranza di poter salvare capra e cavoli),
deliberò pertanto una proposta per il Provveditorato che prevedeva
di tenere aperte entrambe le scuole, “specializzando” la scuola
di Venezzano come sede del tempo pieno che si voleva istituire. Ma
questo significava che una buona parte degli alunni residenti ad
Argile, molto più numerosi
(da un minimo di 22 a un massinmo di 34 nati all'anno ),
avrebbe dovuto essere trasportata a Venezzano, per
creare due classi equilibrate per numero alunni (ma squilibrate per
la diversità di opzioni tra le richieste di tempo pieno e tempo
prolungato con 2 o 3 rientri pomeridiani).
La formulazione e le modalità di tale delibera presa dal Consiglio
all'insaputa della popolazione argilese in una data in cui molte
famiglie erano in vacanza ed erano assenti pure 8 consiglieri su 20,
suscitò altrettanto ovviamente forte contrarietà.
Il
Provveditorato però non tenne conto di questo parere del Comune e
autorizzò l'istituzione di due classi prime ad Argile,
come soluzione più razionale, prevedendo il trasporto nel capoluogo
dei 7 alunni della frazione iscritti alla classe 1a.
All'apertura
dell'anno scolastico di metà settembre 1992, i
genitori di Venezzano, costituiti in comitato locale, però vollero
fare un atto di resistenza forte, con “sciopero” contro questa
disposizione, tenendo a casa tutti i loro figli, sia
quelli della prima destinati ad Argile che i 35
delle altre classi (o
pluriclassi) dalla II alla V, che potevano e dovevano continuare a
frequentare la scuola di Venezzano fino al termine del loro ciclo
(e conseguente futura chiusura).
Seguì
un'assemblea infuocata a Venezzano, con
la presenza anche di un rappresentante del Provveditorato e dei
sindacati Snals e Cisl. Si concluse con l'invito a ritornare a
scuola per gli alunni delle classi di Venezzano da parte degli
stessi genitori della frazione, ma con un nulla di fatto per quelli
destinati alla classe prima di Argile, in attesa e nella speranza
di una deroga del Provveditorato alle norme vigenti, richiesta dai
sindacati
(chiamati a difesa dei genitori di Venezzano) per
permettere l'attivazione di una classe prima nella frazione.
La
vicenda finì anche sulle pagine del Carlino
Bologna,
il 15 e il 17 di settembre '92, che diede notizia prima dello
sciopero poi del ritorno a scuola dei 35 alunni di Venezzano.
A
questa ipotesi di deroga si opposero gli
insegnanti di Castello d'Argile capoluogo; che,
in data 21 settembre 1992, scrissero una lettera alla Direttrice
didattica, al Provveditore e a tutte le autorità e organi
competenti o interessati al problema, per esprimere il loro “forte
disagio”
e “indignazione”
per quanto stava accadendo, che metteva in seria difficoltà lo
svolgimento delle lezioni e le relazioni tra famiglie, bambini e
insegnanti. In sostanza si dichiaravano contrari a trasferire a
Venezzano una delle due classi prime ad anno scolastico già
iniziato, senza alcuna preventiva consultazione e informazione, con
insegnanti già asseganti dal Provveditorato nella sede argilese e
con la programmazione coordinata di tempo pieno e modulo già
impostata sul capoluogo. Sarebbe stato un colpo di mano “non
degno di uno Stato di diritto”
che non rispettava la decisione della maggioranza dei genitori.
Genitori argilesi di bambini
delle classi prime che si espressero di nuovo con lettere del 16
ottobre e del 12 novembre, firmate da tutti (tranne
uno, Fabrizio Tosi, impegnato in politica, che non si espresse...)
contro lo spostamento di una delle due classi prime a Venezzano che
scombinava ogni programmazione avviata, con conseguenze deleterie
per gli alunni, la continuità didattica e i costi per l'anno in
corso e per gli anni futuri.
A
quel punto molti genitori argilesi, oltre a quelli con figli nelle
classi prime, si mobilitarono e il 9 novembre
1992 fu costituito un Comitato
che, manco a dirlo, si aggregò intorno a me e mi elesse presidente,
contando sulla mia “esperienza” di genitore negli organi
collegiali (avevo ancora la figlia più giovane frequentante la
scuola media locale) e di ex insegnante e soprattutto di cittadino
attivo in comitati. La sede per gli incontri era sempre a casa mia.
Il
comitato era composto, oltre che da me, da Silvana
Baccilieri, Maria Grazia Cortesi, Rosaria Cavicchi, Loris Donini,
Sonia Parmeggiani, Lilia Vancini, Nadia Vaccari, Federica Zaniboni
e
altri. La prima iniziativa del Comitato fu quella di promuovere una
petizione per chiedere la revoca di quella
delibera comunale e per proporre l'utilizzo del solo edificio
scolastico del capoluogo,
in quanto in grado di ospitare tutta la popolazione scolastica del
Comune.
La petizione raccolse in pochi
giorni 280 firme
e fu presentata il 22 novembre 1992 al sindaco e altri organi
competenti con una lettera di accompagnamento che specificava tutte
le argomentazioni di carattere didattico ed
economico che rendevano più razionale la scelta della unificazione
della popolazione scolastica nell'edificio del capoluogo.
Pur
comprendendo le ragioni e la volontà degli abitanti di Venezzano di
tener aperta la loro scuola, si spiegava che i loro figli avrebbero
potuto usufruire di un servizio qualitativamente migliore e senza
particolari disagi nella scuola di Argile.
Io
stessa, pur non più direttamente interessata come genitore al
problema, ritenevo più conveniente e utile per tutti questa
soluzione, in quanto come insegnante che aveva lavorato un paio
d'anni nella piccola scuola della frazione, avevo vissuto sì la
“tranquillità” di insegnare a piccoli gruppi di alunni, con
classi o pluriclassi di 10/12 alunni al massimo; ma ne avevo visto
anche i limiti culturali e di socializzazione,
per i minori stimoli e la tendenza all'isolamento che questi piccoli
gruppi “di Mascarino” poi si portavano dietro quando entravano
nella scuola media ad Argile. Tanto
che allora avevo proposto e ottenuto, con l'appoggio anche degli
altri insegnanti e della Direzione, di fare mensilmente incontri per
classi parallele tra gli alunni delle elementari di Argile e quelli
di Venezzano, per attivare un rapporto di conoscenza reciproca e
collaborazione.
Seguirono
poi altre riunioni pubbliche (una il 1 dicembre) per spiegare ai
genitori le nuove metodologie di tempo pieno e “
a moduli”,
un questionario del Comune
distribuito il 15 dicembre per “rilevare
gli orientamenti dei genitori”
circa le future scelte. Questionario che però fu criticato dai
genitori argilesi per la sua formulazione ambigua e non abbastanza
chiara per poterne trarre conclusioni significative; tanto che il 13
gennaio 1993 il Comitato argilese scrisse al Provveditore e al
Consiglio scolastico provinciale per fare il punto della situazione,
esprimere “lo stato di disagio per la deleteria
situazione”
che si era creata nel Comune, chiedendo un
incontro
per capire il reale orientamento delle massime autorità scolastiche
a cui si chiedeva “coerenza
e uniformità di indirizzo”
per tutto l'ambito provinciale, ritenendo certe “deroghe”
fonte di confusione, danno per la collettività e disparità di
trattamento non giustificate.
Non
mi ricordo se l'incontro ci sia poi stato. Ma nel
febbraio 1993 ci furono chiare prese di posizione del Collegio dei
docenti ( a
maggioranza assoluta) e del Consiglio di Circolo
(a maggioranza semplice col voto contrario dei 5 genitori della lista
dell'Age pievese) che proponevano per l'anno
scolastico 1993/94 l'istituzione di due classi prime entrambe nel
capoluogo, una a tempo pieno e una a modulo.
Pareri che furono recepiti dal Provveditorato e dalla Direzione
didattica, che a sua volta, il 3 aprile
1993 confermava che per decreto del 26 marzo per il prossimo anno
scolastico le due prime sarebbero state collocate ad Argile.
Fu messa così (temporaneamente)
la parola fine sulla controversia e
non ci fu più spazio per le annuali pressioni che erano state
esercitate sui genitori argilesi per convincerli a chiedere
l'iscrizione nella scuola di Venezzano, per alzare il numero degli
alunni e giustificare l'istituzione di una classe in quel plesso.
Nell'arco dei 3 anni successivi, con l'uscita degli ultimi alunni a
compimento del loro ciclo, si arrivò nel 1995
alla chiusura della scuola di Venezzano.
Ma
fu una chiusura temporanea,
che non lasciò il tempo per predisporre un'altra destinazione a
quell'edificio pubblico, che poteva diventare un centro
civico di
cui pure c'era bisogno.
La
mia presa di posizione in questa vicenda mi costò la perdita di
quel po' di benevolenza che mi ero conquistata tra le famiglie del
luogo quando avevo lavorato come insegnante a Venezzano. Mi guadagnai
anche qualche telefonata anonima con pernacchie e accuse di essere
una “che fa del
male alla gente”.
Impossibile far capire le motivazioni della scelta mia e di tanti
altri in quella circostanza.
PS. Grazie al nuovo Piano
regolatore del 1992 e alle successive varianti approvate dal
Consiglio comunale, con una possibilità edificatoria di grandi
dimensioni, la popolazione del Comune, ma soprattutto quella della
frazione, aumentò a passi da gigante, tanto da arrivare al raddoppio
in pochi anni.
Crebbe quindi anche in modo consistente la
popolazione scolastica.
Tanto che ci fu materia per gli abitanti di Venezzano per
cominciare nel 1999 a chiedere la riapertura della scuola della
frazione.
L'amministrazione
comunale eletta nel 1999 (nuovo sindaco “civico” Massimo Pinardi)
ne fece un punto qualificante del proprio programma.
Dopo una necessaria ristrutturazione, l'edificio scolastico fu
riaperto nell'anno scolastico 2001-2002
1992-1993-
Osservazioni al PRG e petizione contro il progetto di nuova strada
in Bisana
Quasi
contemporaneamente all'esplodere della controversia tra favorevoli
e contrari alla chiusura della scuola di Venezzano, vennero
fuori gli elaborati del nuovo Piano Regolatore Generale, adottato
dal Consiglio comunale il 29 dicembre 1992 (
il
periodo delle festività natalizie e delle ferie estive pare sia il
periodo preferito per l'adozione di delibere che si vorrebbe
passassero inosservate...); e i due fatti erano in parte collegati,
e si capisce il perchè, esaminando i contenuti di quel documento.
Insieme
ai pochi cittadini che si interessavano e si informavano sugli atti
amministrativi, esaminai gli elaborati e ritenni opportuno
presentare, nei tempi e nei modi previsti, il 10 aprile 1993, alcune
osservazioni critiche,
rivolte in particolare alle previsioni
insediative e al dimensionamento della Variante, che fissava una
crescita di 361 nuovi alloggi,
e circa 1.000 abitanti in più in 10 anni,
ritenuta eccessiva da me e da altri, considerato
che il paese era già cresciuto parecchio anche nell'ultimo decennio
(3.092 abitanti nell'1982 , diventati 3.678 nel 1992, divisi tra i
2.840 nel capoluogo e gli 838 nella frazione) e si apprestava
quindi a diventare un grande dormitorio sempre più popolato e sempre
più simile alle periferie delle grandi città. Con probabile
snaturamento del contesto sociale del paese e difficoltà a garantire
servizi pubblici adeguati ai nuovi e maggiori bisogni, in scuole,
mense, trasporti, uffici pubblici e altro.
Altro
punto criticato era la distribuzione della
potenzialità edificatoria sul territorio, con notevole sbilanciato
potenziamento della frazione Venezzano,
che in proporzione sarebbe cresciuto più del capoluogo, generando
problemi, disagi e aspettative difficilmente risolvibili (ma se si
voleva la riattivazione della scuola di Venezzano, questo
ripopolamento era lo strumento giusto....).
I firmatari di quella osservazione proponevano pertanto un
dimensionamento più contenuto per favorire una crescita più
armonica e sostenibile sia per il capoluogo che per la frazione.
Ma
soprattutto si manifestava una forte
preoccupazione e il parere contrario alla prevista realizzazione di
una nuova arteria stradale di collegamento tra Cento e la Nuova
Padullese ,
partendo presso il nuovo ponte sul Reno tra
Cento e Pieve per raggiungere Bologna,
che avrebbe attraversato tutta l'area agricola dei “Rottazzi”
e
della “Bisana”,
utilizzando in parte tratti delle vie esistenti, percorse fino ad
allora dal solo traffico dei residenti nelle campagne della zona.
Tante
erano le ragioni che venivano esposte in quella Osservazione,
a cominciare dal fatto che quella strada avrebbe
tagliato in due parti tutta l'area ovest della campagna argilese,
creando grande impedimento agli abitanti della parte estrema verso
il Reno; si creavano punti di pericolosità
per nuovi incroci e attraversamenti in particolare con le vie
Zambeccari, Postrino e Rottazzi; e se si fosse aggiunta anche la
ipotizzata “bretella “ a sud
tra questa nuova strada e la Provinciale Centese verso Voltareno, si
sarebbero aggiunti altri 5 nuovi incroci con le vie esistenti e
quindi nuovi punti di pericolosità.
Oltre
ai costi economici e di sacrificio del territorio, si faceva rilevare
che la realizzazione di queste nuove strade avrebbe chiuso il centro
urbano di Argile in una trappola di vie da tutti i lati, nord, sud,
est e ovest che ne avrebbero condizionato irrimediabilmente le
possibilità di svipuppo armonico.
Il tradizionale “giro dei
casetti”, meta delle passeggiate a piedi e in bici degli argilesi,
sia nel percorso breve sopra le vie Zambeccari-Minganti-Croce, che
in quello lungo verso il Reno su via Cappellana o via Martinetti e
Bisana Inferiore, sarebbe diventato impossibile.
Fu fatto rilevare anche che il fondo stradale della nuova strada
sarebbe sempre stato instabile e bisognoso di continue manutenzioni,
trattandosi di area esposta per secoli ad alluvioni del Reno e
punteggiata da laghetti dei Rottazzi, visibili in mappe ancora a
metà del 1700.
Si
chiedeva quindi al Comune di non recepire nel nuovo PRG questi
progetti di nuova viabilità che erano stati proposti dalla Regione
e dalle Province di Bologna e Ferrara, col
favore dei Comuni di Cento e Pieve i cui territori non venivano
toccati dai tracciati e non avrebbero subito alcun danno, mentre
speravano di avere il beneficio di far prima a raggiungere Bologna.
I
primi firmatari di questa osservazione erano una quindicina: oltre
a me e ai miei famigliari, si impegnarono Agostino
Barbieri, Paolo Cortesi, Rosaria Cavicchi, Claudio Evangelisti,
Gianni Sevini, Quinto Chierici, Maria Grazia Cortesi, Nadia Vaccari,
e pure William Maccagnani
di Mascarino; un gruppetto “trasversale” a qualsiasi schieramento
politico, preoccupato solo del futuro del paese.
Visto
che la risposta degli amministratori alle osservazionni fu
sbrigativamente negativa, la protesta si allargò nel corso del 1993.
Furono diffusi volantini con mappe del tracciato della strada
ipotizzata e il titolo “Giro dei casetti
addio”;
furono scritti comunicati per la stampa titolati “Non
rovinateci il territorio!”
e fu avviata una nuova petizione che raccolse
circa 130 firme e l'appoggio del Gruppo ambientalista “Amici della
terra” della zona pianura e del gruppo di minoranza “Sinistra
unita” in Consiglio comunale.
Per il ridimensionamento delle
previsioni insediative non ci fu niente da fare e gli insediamenti
crebbero anche oltre le previsioni, grazie anche a successive
varianti,
tanto che ora, anno 2013,
siamo arrivati a 6.500 abitanti (oltre
il doppio rispetto a 30 anni fa).Ma
per la strada di Bisana la battaglia fu vinta dai
cittadini.
Pur senza aver mai avuto risposte precise e cancellazioni dal PRG,
via via maturò un ripensamento
sia
a livello Regionale che Provinciale, e infine Comunale. Tanto che
alla fine del 1994 si potè affermare che quella
strada non si sarebbe fatta mai.
1993. Si
riapre la questione delle USL col nuovo Piano Sanitario Nazionale e
Regionale che impone nuovi accorpamenti in ambiti territoriali
coincidenti con i confini di Provincia. Argile e Pieve devono
separarsi da Cento e riaggregarsi a S. Giorgio e alla zona Bologna
Nord. Nuova petizione sovracomunale, insieme a medici e cittadini di
Cento e di Pieve per una Usl comprendente la n. 30, la n. 25 e la n.
26. Inascoltata.
A
sollevare il problema per primi questa volta furono
i medici dell'ospedale di Cento
e gran parte del personale medico anche dei servizi di base e sul
territorio dell'USL 30, e lo fecero con un documento datato 15
febbraio 1993, rivolto a tutte le istituzioni regionali e locali,
alle forze politiche e sindacali e alle Associazioni operanti sul
territorio perchè prendessero in considerazione una loro proposta
piuttosto audace ma molto argomentata e motivata.
La
proposta partiva dalla constatazione che il
Decreto Amato-De Lorenzo n. 502 del 30 dicembre 1992 imponeva alle
regioni una riduzione delle Unità sanitarie locali
e quindi l'accorpamento di quelle esistenti in Usl uniche di ambito
coincidente con la Provincia (in provincia di Bologna allora erano 10
ed era prevista una deroga all'unicità per la sua vastità).
Preso
atto che l'orientamento iniziale della Giunta provinciale di Bologna
era indirizzato verso alcuni accorpamenti, tra cui quello della USL
25 di S. Giorgio di Piano e la n. 26 di S. Giovanni in Persiceto,
i medici proponevano
che in questo nuovo ambito territoriale fosse inserita anche l'Usl
30 di Cento che
già comprendeva i
due comuni bolognesi di Pieve di Cento e Castello d'Argile
e che comunque per la sua centralità
rispetto
al territorio complessivo, per
tipologia di servizi e strutture sanitarie, per tradizionali legami
culturali, tecnici e operativi, viabilità e collegamenti, di fatto
era già parte integrante della rete dei servizi della pianura
bolognese.
Tale accorpamento avrebbe portato solo
benefici e una organizzazione razionale per la quale i firmatari
si impegnavano a collaborare, senza costi in più per nessuno, e con
un bacino di utenza adeguato che già si muoveva in questo ambito.
Seguivano
decine di firme, di
primari, aiuti, assistenti e tecnici, a partire dal dott. Aldrigo
Grassi e dal dott. Eugenio Magri,
e si allegava la cartina
con mappa
che evidenziava l'omogeneità territoriale della USL che veniva
proposta.
Il
documento fu diffuso e trovò spazio sulla stampa locale, fu oggetto
di dibattiti in assemblee pubbliche e trovò
l'appoggio dei Consigli comunali e dei sindaci di Cento, Pieve di
Cento e Castello d'Argile che
nei mesi successivi, tra aprile e maggio, si pronunciarono a favore
della nuova Usl interprovinciale proposta, genericamente definita
della “Bassa
bolognese”
Si
costituirono
comitati locali nei 3 comuni che
si coordinarono in un unico Comitato
intercomunale e
promossero una petizione
pubblica di sostegno,
spiegata con un volantino-manifesto intitolato “Cittadini,
bisogna dire NO ad una “controriforma”
sanitaria ingiusta e sbagliata”
, che comportava tra l'altro un taglio di personale di 9.000 unità
nell'arco di 3 anni e una riduzione della spesa sanitaria di 1.200
miliardi, oltre alla paventata rideterminazione dei territori delle
USL su base esclusivamente provinciale.
La
petizione fu inoltrata il 22 giugno 1993 ai vari responsabili
regionali e ai gruppi politici in Regione con
5.679 firme di cittadini,
delle quali 1.100
raccolte in territorio di Argile.
La
lettera di accompagnamento indicava come componenti del Comitato
promotore della
petizione, il Dott.
Eugenio Magri
(residente a Pieve di Cento e Primario anestesista all'Ospedale di
Cento) “per gli
operatori sanitari”,
e, “per i
cittadini di Castello d'Argile”, la solita Magda Barbieri,
di nuovo in prima fila per questa riedizione della annosa battaglia
per una migliore organizzazione sanitaria, stavolta però in
compagnia di Sandro
Accorsi, Maria Tasini, Antonio Sperindio, Lorenzo Bovina, Agostino
Barbieri, Maria Grazia Cortesi, accomunando
veterani
pro Cento degli
anni '80 e nuovi sostenitori legati anche alle forze politiche che
in passato si erano mostrate più restie. In prima fila furono anche
il dott. Lamberto
Ardizzoni, medico di base ad Argile e Linda Campanini. funzionario
dirigente USL.
A
rappresentare i cittadini di Pieve c'erano Enrico
Cavicchi, Andrea Accorsi e Laura Taddia.
Per Cento: Guido
Vancini, Clemente Cristofori, Gino Lanzi, Marta Marchesini e Adele
Ramponi..
Insomma,
fu una battaglia civica dei cittadini di 3 Comuni che coinvolse un
po' tutte le categorie e gli orientamenti politici, senza
distinzioni. Anche nei vicini comuni ferraresi di S.
Agostino e Mirabello
ci furono pronunciamenti favorevoli, o quanto meno interessati,
all'eventualità di aggregarsi alla sanità bolognese, temendo di
essere in futuro penalizzati da una USL unica ferrarese tutta
incentrata sulle strutture della città di Ferrara..
Molto
favorevole all'ingresso di Cento nella USL bolognese si mostrò anche
il nuovo sindaco di Cento Paolo
Fava e
vi si impegnò anche Gianni
Melloni.
sindaco di Pieve, un Comune che pure aveva vissuto con sofferenza
negli anni precedenti l'imposizione della chiusura
dell'Ospedale di Pieve
e manteneva nel suo contesto popolare un residuo della antica
rivalità campanilistica con Cento. Ma l'interesse a mantenere un
rapporto di collaborazione e coordinamento istituzionale e di pieno
utilizzo delle strutture sanitarie di Cento, era troppo evidente per
lasciar spazio ai campanilismi.
Ma,
nonostante l'attivismo di questo Comitato intercomunale nei mesi
fino a novembre 1993, l'impegno in lettere, comunicati stampa,
assemblee pubbliche, richieste di incontro con l'Assessore
Regionale alla sanità Giuliano Barbolini (che fu sempre molto ostile
alla nostra proposta),
la presentazione di un emendamento in sede di approvazione del Piano
regionale che ridisegnava i territori delle USL, non ci fu niente da
fare. Il limite del
confine delle province (indicato
nella Legge nazionale) fu
considerato inderogabile e invalicabile.
Ma
non fu solo questo l'ostacolo alla proposta dei nostri 3 comuni.
In realtà le forze politiche a livello regionale e provinciale non
erano affatto intenzionate a tener conto delle forze politiche locali
che avevano sostenuto la petizione e votato a favore nei consigli
comunali. E poi c'era l'ostilità
della Provincia di Ferrara e la diffidenza dei comuni di S. Giorgio
di Piano , Bentivoglio e S. Giovanni in Persiceto
e degli altri delle USL 25 e 26 che non vedevano di buon occhio
questo “matrimonio” che avrebbe potuto eventualmente penalizzare
le loro strutture sanitarie a fronte di quelle di Cento, in fase di
riorganizzazioni e di tagli prevedibili.
Queste ostilità e resistenze al progetto di
interprovincialità vennero evidenziate in un ultimo Consiglio
Comunale straordinario aperto, interamente dedicato alla sanità,
svoltosi a Cento nel novembre 1993.
Cento fu
inglobato nella USL di Ferrara, e Pieve di Cento e Castello d'Argile
entrarono a far parte della USL Bologna Nord (pianura),
una delle 4 in cui
fu allora divisa la provincia di Bologna
(città,
pianura, collina, Imolese).
L'unità territoriale dell'USL 30, in atto dal
1987, che pure aveva ben funzionato, fu smembrata.
E' vero che comunque poi una certa libertà di
scelta dell'ospedale fu in linea di massima garantita e gli argilesi
e i pievesi hanno potuto continuare ad usufruire del vicinissimo
ospedale di Cento.
Ma
per tutti gli altri servizi territoriali venne a mancare il
necessario collegamento e coordinamento; la guardia
medica doveva venire da S. Pietro in Casale o Bentivoglio, come pure
l'ambulanza nei casi di urgenza doveva partire dal più lontano
ospedale di Bentivoglio; idem per il Pronto soccorso si doveva andare
a Bentivoglio, le difficoltà frapposte dai servizi sanitari
centesi per il fatto di essere di “un'altra Usl “ erano tante.
Era
stata promessa una Convenzione tra le due USL di Bologna e di Ferrara
per meglio gestire e coordinare le possibilità
di scelta extraUSL
per gli abitanti dei comuni sul confine, ma nessuno l'ha mai vista.
Il
gruppo che si era impegnato nel comitato del 1993 cercò ancora di
seguire le vicende sanitare per salvaguardare la possibilità dei
cittadini di Argile di usufruire al meglio delle strutture centesi
(se lo volevano, ovviamente), e personalmente partecipai ancora a
riunioni in materia sanitaria negli anni successivi, in particolare
dal 1995 al 1999
quando fui eletta consigliere comunale a Castello d'Argile e
ricoprii la carica di Assessore alla Sanità e alle Politiche
sociali.
Ma qui devo aprire un altro capitolo.
1995. Si
costituisce, per mia iniziativa, il “Gruppo di impegno civico
argilese” a sostegno della candidatura di Prodi a livello
nazionale e di una lista “civica” di centrosinistra a livello
locale.
Fino
al 1994 non avevo mai voluto esprimere pubblicamente le mie
preferenze politiche personali e le “battaglie”
che avevo animato e condotto come cittadino attivo erano sempre
state super partes,
o trasversali
rispetto agli schieramenti politici, trovandomi
in compagnia di altri cittadini di diverso orientamento ideologico
coi quali però si era formato un collante comune e una condivisione
su determinati specifici problemi concreti del paese: Ospedali,
strade, bollette, PRG ecc.. E spesso mi ero trovata a dover
contrastare o contestare le forze politiche prevalenti, dal PCI-PDS
alla DC, per le scelte sul territorio, in Argile o in ambiti più
ampi, che non condividevo.
Tra
1994 e 1995 si era però determinata in Italia una situazione nuova
e preoccupante che mi spinse ad assumere pubblicamente una posizione
politica di parte. A livello nazionale era entrato con gran
dispiegamento di forze Silvio
Berlusconi, un personaggio che da informazioni che avevo raccolto
su libri e giornali mi pareva estremamente negativo e inadatto a
governare l'Italia.
Ma gli italiani a maggioranza l'avevano
eletto nel maggio 1994
come capo di Forza
Italia, il
nuovo partito personale da lui appena fondato, e si era costituito un
governo di
centrodestra da lui presieduto e sostenuto anche dal MSI ( Movimento
Sociale Italiano) presieduto da Fini, e dalla Lega Nord, un
movimento separatista da poco fondato e gestito da Umberto Bossi.
Nelle
idee e nelle proposte di questi personaggi proprio non mi ci
riconoscevo, anzi li ritenevo pericolosi per tanti aspetti, da quello
politico a quello morale e sociale, e in una parola, pericolosi
per la tenuta della democrazia.
Intanto
aveva manifestato la propria disponibilità a candidarsi per guidare
il fronte del centrosinistra nelle future elezioni politiche il
prof. Romano Prodi,
che
mi apparve come un faro nel buio della notte. Pur senza esagerare
nelle lodi e senza divinizzarlo, mi pareva che finalmente si fosse
affacciata sulla scena politica nazionale una
persona seria e capace a cui ci si potesse affidare,
dopo la crisi dei partiti e dei loro vecchi leader maturata nel 1992,
anche a seguito degli scandali e delle corruzioni emerse con
“Tangentopoli”.
Mi parve
quindi opportuno, se non doveroso, appoggiare concretamente e
visibilmente questa candidatura e questo orientamento,
e l'occasione venne dalle elezioni amministrative locali, che
dovevano svolgersi il 23 aprile 1995. Nei mesi precedenti in Argile
erano cominciati i contatti degli emissari dei partiti alla
ricerca delle persone da mettere nelle rispettive liste. Qualcuno
venne a cercare anche me, ma rifiutai l'invito perchè inizialmente
non avevo intenzione di partecipare direttamente ad alcuna
competizione elettorale, non ritenendomi adatta a “far
politica di partito”,
e per mantenere comunque la mia indipendenza e libertà di pensiero.
E poi la prima proposta, anche se presentata con apparenza di “lista
civica”,
veniva da chi appoggiava apertamente a livello nazionale il
centrodestra, anzi Fini, e non mi pareva proprio il caso.
Poco
tempo dopo l'invito mi venne rivolto anche dal centrosinistra,
tramite Loris Muzzi,
già candidato dal PDS a formare una lista che voleva essere il più
possibile aperta ad altri contributi e quasi “civica”. Anche
a lui dissi inizialmente di no, pur trovandomi allora più vicina a
chi a livello nazionale si era pronunciato a favore di Prodi.
Ma
nella confusione che si era creata a livello locale, con
il PPI che a livello nazionale (dopo
la scissione tra
Bianco e Buttiglione
che fondava il CDU)
si schierava con Prodi in alleanza col PDS e ad Argile rifiutava
invece ogni accordo e si apprestava a formare una lista con la
destra berlusconiana,
mi convinsi della necessità di assumere una posizione chiara anche a
livello locale, per evitare che vincesse chi favoriva questo genere
di ambiguità. Richiamai Muzzi e diedi la mia disponibilità ad
entrare in lista, se ancora c'era l'intenzione. Detto, fatto.
Per
conservare comunque una mia connotazione apartitica, con la
collaborazione di alcuni amici costituii
un nuovo Comitato, chiamato “Gruppo di impegno civico argilese”
che si poneva sulla linea di continuità delle “battaglie civiche”
condotte in precedenza e composta da varie persone che vi avevano
partecipato.
Al
comitato promotore, con atto costitutivo del 10 marzo 1995,
aderirono: Lia
Bencivenni, Agostino Barbieri, Roberta Cavazzuti, Maria Grazia
Cortesi, Stefania Del Buono, Romana Govoni, Alberto Minelli, Daniele
Muzzi e Gianni Sevini, oltre a mio marito Orio Cenacchi e alla
sottoscritta Magda Barbieri,
scelta , come ormai d'abitudine, come “coordinatrice”,
ovvero quella che organizzava gli incontri e scriveva lettere a
destra e a manca. E le riunioni si svolgevano a casa mia, nella
mansarda che era stata sommariamente arredata per le feste di
compleanno dei ragazzi, con vecchie poltrone di vimini sfilacciate e
cianfrusaglia turistica.
Ora che i figli erano abbastanza grandi e mia
madre non c'era più (morta nel 1993, dopo l'ennesima crisi cardiaca
e la sofferenza delle ultime settimane in rianimazione), il grosso
della ricerca storica su Argile era compiuto e il primo volume era
uscito nel 1994, potevo permettermi di affrontare un impegno
pubblico così rilevante.
Nel
documento con cui ci presentammo “Ai
cittadini di Castello d'Argile”
dichiaravamo la nostra continuità ideale con la vocazione civica
praticata in precedenza per interessarci dei problemi del paese, ma
dichiaravamo anche al punto 2 il nostro impegno ad appoggiare Romano
Prodi come il più qualificato a rappresentare a livello nazionale
le nostre idee, valori e obiettivi, ai cui comitati di sostegno in
Bologna ci si aggregava.
Al
punto 3 si dichiarava la disponibilità ad entrare ”in
via sperimentale per questa legislatura amministrativa” in una
lista “che raccoglie apporti culturali laici, cattolici e di
sinistra democratica”. Quella che presentava Loris Muzzi come
candidato sindaco, appunto .
Non fu una
scelta facile, né indolore,
la mia, e mi costò una certa fatica dover fare “comizi”, o
quanto meno dichiarazioni politiche in piazza o in Assemblee
pubbliche, io che sono sempre stata di carattere riservato e un po'
solitario, per non dire timida; parlare mi costava fatica fisica, non
ero tipo da fermarsi per strada a chiaccherare con la gente del più
e del meno o per cercare di convincerla a votare per me o per la
lista in cui ero inserita. Di certo, preferivo pensare e scrivere.
Molti
poi si stupirono che accettassi allora di collaborare con il
veterano attivista del PCI locale Fabrizio Tosi e coi “comunisti”
che in passato avevo criticato per tanti aspetti ideologici e scelte
che non condividevo (come loro non condividevano le mie). Ma mi feci
forza. Il passato era passato, la situazione era cambiata, il muro di
Berlino era caduto da un pezzo, la “svolta
della Bolognina”
e la scelta per Prodi davano alla sinistra pidiessina un'impronta
neoriformista che sostanzialmente si avvicinava alla mia idea di
socialdemocrazia di tipo europeo che tutto sommato prediligevo. E non
ero tipo da serbare ostilità personale per nessuno, soprattutto se
c'era di mezzo una “causa” di valore superiore per cui
impegnarsi.
Intanto
il PPI locale
rinunciava alla idea iniziale di una lista “civica”
di centrodestra
insieme ai sostenitori del Polo berlusconiano e decideva
di presentare autonomamente una propria lista “Argile insieme”,
anche questa “civica”
ma sostenuta dal solo PPI, con l'ex
argilese Rino Bergamaschi, dirigente CISL bolognese,
come candidato sindaco.
Il
travaglio e le divisioni interne del PPI argilese e l'ambigua
posizione dello stesso Bergamaschi, prodiano
a Bologna ma non a Argile,
furono oggetto di polemiche anche sulla stampa bolognese (lettere
di Zanini, Bergamaschi e mia, pubblicate su La
Repubblica-Bologna il
4, il 7, il 15 e il 25 marzo) e contribuirono a rompere l'iniziale
alleanza di centrodestra mascherata da civica.. Fatto è che il Polo
fece una sua terza lista pseudo-civica, “Rinascere”,
con Alessandro
Stracciari candidato
sindaco; e la divisione dell'area di centro-destra in due liste
favorì la vittoria
della lista di Centrosinistra, “Progetto democratico”, di cui ero
parte.
Loris Muzzi
fu eletto sindaco
e io fui
vicesindaco e assessore alla Sanità e alle politiche sociali.
Nelle lista nostra che ebbe la maggioranza dei voti, tra gli 11
consiglieri eletti, entrarono per il nostro Gruppo
civico,
Maria Grazia
Cortesi, Daniele Muzzi e Stefania Del Buono.
Nella
stessa tornata elettorale furono eletti anche
Vittorio Prodi come
presidente
della Provincia e
Pierluigi Bersani presidente
della Regione,
sostenuti dalla stessa coalizione.
Come tutti i neofiti volonterosi (e un po'
ingenui), cominciammo con l'autotassarci inviando lire 500.000
raccolte tra noi al coordinamento bolognese per la campagna
elettorale.
Io
e Lia Bencivenni ci pagammo anche le spese di viaggio in
pullman a Napoli,
il 17 giugno 1995,
più magliette e gadget vari, per la prima
manifestazione nazionale dell'Ulivo, con Romano Prodi e Antonio
Bassolino
a fare gli onori di casa. Una foto ricordo di quel viaggio, scattata
durante una sosta, è pubblicata nel libro che poi il fotografo
Mauro Rebeschini dedicò al viaggio in pullman di Prodi per la
campagna elettorale.
1996 –
Primo Comitato per l'Ulivo, tra speranze e difficoltà
Il
nostro Gruppo di
impegno civico
diventò quindi il Comitato
n.1089 dei Comitati Prodi, o “dell'Italia che vogliamo”,
per confluire infine
nel “Comitato comunale per l'Ulivo”, seguendo
il percorso nazionale della candidatura di Prodi e della
costituzione della coalizione che poi vinse
le elezioni politiche nazionali del 1996.
Va
ricordato che la costituzione
del nuovo comitato avvenne la sera del 31 gennaio 1996,
sempre
a casa mia, ed ebbe da allora una
nuova veste “politica” esplicita,
in quanto fu composto, oltre che da me (sempre coordinatrice) e dai
precedenti membri “civici” del gruppo originario come Lia
Bencivenni, Daniele Muzzi e Maria Grazia Cortesi,
anche da Roberto
Scardovi e Silvano Pilati in
rappresentanza del PDS
e
Resca Paolo in
rappresentanza del PPI.
E
quest'ultimo rappresentava il fatto nuovo e la svolta del PPI
locale, che
pur diviso e riluttante, saltava il fosso delle passate ostilità,
seguiva la linea nazionale scelta da Gerardo Bianco ed
entrava a sostenere la coalizione dell'Ulivo (mentre
altri rappresentanti del PPI come Rino Bergamaschi e Angelo Bovina,
pur ulivisti, sedevano ancora in consiglio comunale sui banchi
dell'opposizione, pur senza esprimere particolari ostilità).
I
mesi che precedettero le elezioni politiche nazionali del maggio 1996
non furono idilliaci fra i partiti alleati; se il 4
febbraio del 1996 sentii l'esigenza di scrivere una lettera, firmata
solo da me, in cui esprimevo la mia solidarietà a Prodi per gli
atti ostili e gli sgambetti che subiva, soprattutto da parte del PDS
e di D'Alema in particolare.
“che era corso a
trattare personalmente con Berlusconi e Fini”
, per cercare un misterioso e inspiegabile accordo mentre il Polo era
in crisi e si prospettava una situazione elettorale favorevole per
il centrosinistra, allora intento a costruire alleanza e programma
per l'Ulivo in vista di nuove e prossime elezioni.
Va
ricordato che il Polo berlusconiano, vincitore nel maggio 1994, il 17
gennaio 1995 aveva perso la fiducia in Parlamento e Berlusconi
aveva dovuto dimettersi per la defezione della Lega Nord.
Il Capo dello Stato aveva quindi assegnato l'incarico a Dini
di formare un Governo “tecnico”
che aveva “galleggiato” per un anno con l'appoggio “esterno”
di PDS, PPI e Lega Nord. Entrato in crisi anche questo, nel
gennaio 1996, il Presidente Scalfaro aveva dato un mandato
esplorativo a Maccanico per un eventuale nuovo governo di “larghe
intese”
che però non si erano concretizzate, e quindi si aspettava lo
scioglimento delle Camere e nuove elezioni da un momento all'altro.
Accantonare
il progetto dell'Ulivo per cercare accordi col Polo in quel momento
era una pugnalata alla candidatura di Prodi e al lavoro che stava
facendo, tanto che Prodi
sospese
le assemblee programmatiche per valutare cosa e come fare in quel
frangente.
Nella
mia lettera lamentavo anche il fatto che nella strutturazione
dell'Ulivo che si stava costruendo i
Comitati Prodi venivano di fatto emarginati
e si rischiava di mortificare un patrimonio di impegno volontario,
potenzialità e speranze di rinnovamento venute dalla società
civile, che si erano spontaneamente mosse nel 1995 all'annuncio di
Prodi candidato.
E
già ce ne eravamo lamentati, in una lettera indirizzata alla
Coordinatrice Regionale Alessandra Servidori,
insieme anche ai rappresentanti di vari
comitati della pianura (Persiceto, Decima, S. Giorgio di Piano,
Galliera, Crevalcore e Argile) riuniti il 18 gennaio 1996 a S.
Giovanni in Persiceto,
per proporre agli organi superiori di costituirci in Comitato di
coordinamento a livello territoriale di Collegio
elettorale n. 18 per il Senato.
Proposta
che era stata respinta, non si sa perchè e per volontà di chi;
forse da chi non voleva interferenze al momento delle scelte di
candidature e di punti programmatici, che il maggior partito (leggi
PDS) voleva tenere per sé, trattando magari solo con i
rappresentanti degli altri partiti secondo i soliti criteri
spartitori decisi dell'alto “ e
le pratiche deteriori del tatticismo”
(lo aveva scritto la stessa Servidori) che sembravano allora
prevalere.
In
queste e in altre nostre lettere si ribadivano anche i
punti che si ritenevano irrinunciabili per
il programma dell'Ulivo, anche in caso di contatti per raggiungere
le “larghe intese”
tentate allora da Maccanico: par
condicio, antitrust, conflitto di interessi, nuova legge elettorale,
difesa della democrazia e della possibilità di alternanza, contro
la concentrazione del potere in poche mani, difesa della
magistratura, lotta alla corruzione e alle mafie .... (piange
il cuore nel constatare che gli obiettivi cui puntavamo allora,
oggi, dopo quasi 20 anni, sono ancora irraggiungibili .... ndr.)
Le
“larghe intese” di allora fallirono, il progetto dell'Ulivo andò
avanti e l'unità
della coalizione si ricompose (momentaneamente) arrivando a vincere
nel maggio 1996, portando Prodi a capo del nuovo governo con
il sostegno di PDS,
PPI, Verdi e Dini,
socialisti del SI'
di Boselli e
desistenza di
Rifondazione comunista al Senato.
E' storia nota, purtroppo, che quell'unità
faticosamente raggiunta in campagna elettorale aveva basi
fragilissime che ben presto mostrarono le prime crepe.
Ma
torniamo alla mia attività di neo-assessore
in Argile
1995-1999.
4 anni da Assessore alla Sanità e Servizi sociali: i problemi di
gestione e fruibilità delle strutture sanitarie e sociali, in Argile
e nel nuovo ambito USL Bologna Nord, la Comunità alloggio, il
Centro Sociale culturale , il nuovo poliambulatorio...
Se devo
dire la verità non è stata una esperienza esaltante quella fatta
come assessore tra il 1995 e il 1999. Cominciata
con tanta buona volontà e la speranza di poter fare qualcosa di
buono e utile, è finita con una certa stanchezza e delusione da
parte mia, per tanti motivi. Senza infamia e senza lode, anche se non
ho mai fatto mancare la mia presenza e il mio impegno, in Consiglio
comunale e in Giunta, collaborando alla realizzazione delle
iniziative comuni e del mio settore, secondo il programma che ci
eravamo dati.
Ben
presto mi resi conto che in queste cariche, specie in un piccolo
comune, con un bilancio di modesta entità, un
amministratore conta ben poco.
Il Consiglio si riuniva una volta al mese in gran parte per
ratificare le delibere di Giunta; la Giunta si riuniva una volta
alla settimana, in gran parte per gestire l'ordinaria
amministrazione. Poche le occasioni per poter fare scelte nuove o
investimenti importanti, e questi comportavano sempre iter
burocratici e tempi lunghi, A volte era complicato risolvere i
problemi più semplici, c'era sempre qualche ostacolo da superare e
di cui discutere.
E
poi c'erano i “capisettore”,
i funzionari del Comune che non sempre corrispondevano ai nostri
desideri (o noi non corrispondevamo ai loro...) e c'era
talvolta da faticare per far convivere pacificamente quelli che
erano i nostri
“poteri di
indirizzo politico”
con i poteri loro,
“responsabili
della gestione”
e della concreta attuazione dei provvedimenti e delibere prese da
noi.
Una
certa resistenza alla collaborazione si notava in chi più a lungo
aveva lavorato con la precedente amministrazione di altro segno
politico, e comunque si capiva che alcuni in cuor loro pensavano “i
consiglieri e gli assessori passano, noi in Comune c'eravamo prima,
ci siamo ora e ci resteremo dopo, sappiamo noi come si deve fare ...
e continuiamo a fare come abbiamo sempre fatto...”
E non mancavano neppure le rivalità e le
diatribe tra un settore e l'altro per questioni di competenze, o
personali, che talvolta ritardavano, o complicavano, le soluzioni. Ma
pian piano si trovò comunque un modus vivendi accettabile, grazie
all'infinita pazienza del sindaco Loris Muzzi e alla sostanziale
efficienza degli uffici. E alcuni importanti interventi di
ristrutturazione degli edifici pubblici furono realizzati, o ne fu
impostato e avviato l'iter.
Io
poi dovevo “indirizzare”
un settore che non mi permetteva voli pindarici. Potevo più o meno
solo badare che
funzionassero al meglio i servizi sociali nel paese, quelli
domiciliari rivolti agli anziani e
il buon andamento della Comunità
alloggio che,
al momento del mio insediamento era in fase di ristrutturazione e
messa a norma, con lavori programmati in precedenza. Pur con le
solite difficoltà per i ritardi di esecuzione delle imprese, i
lavori furono completati, l'arredamento rinnovato e il servizio fu
sempre ritenuto soddisfacente da utenti e famigliari, pur con il
limite della mancanza di assistenza notturna, in quanto la struttura
era, ed è tuttora, per anziani autosufficienti e non era prevista,
né attuabile, una presenza notturna di personale; e nei giorni
festivi si avvaleva della collaborazione del volontariato locale
costituito in ambito parrocchiale
Andò
in porto e fu inaugurato l'edificio che doveva ospitare il Centro
Sociale Culturale,
ricavato dalla ristrutturazione di un ex capannone di proprietà
comunale, diventato luogo di ritrovo e ricreazione per anziani molto
frequentato, oltre che sala
pubblica polifunzionale,
usata per mostre, incontri, assemblee.
Si cercò di migliorare
l'informazione e la comunicazione coi cittadini, attraverso una
miglior sistemazione dell'Albo Pretorio che consentisse la lettura
delle delibere, e con la pubblicazione di un periodico comunale “Qui
Argile”e
la pubblicazione di una “Guida
ai servizi”
con stradario e mappa; strumenti fino ad allora mai realizzati.
Andò
in porto, ma fu inaugurato dalla successiva amministrazione Pinardi,
nel 1999, pochi mesi dopo le elezioni che sancirono la nostra
sconfitta, il Poliambulatorio,
Centro di Medicina Generale,
realizzato nei locali di proprietà comunale al piano terra del
palazzo ex
Mincio. Progetto
e iter che avevo lungamente seguito insieme alla Giunta e
all'Ufficio preposto, in collaborazione con l'USL a cui la gestione
fu affidata, tramite contratto di locazione tra i due Enti stipulato
nel 1996, con successiva laboriosa
ristrutturazione
dei locali per adeguarli alle nuove esigenze di “medicina
di gruppo”
a lungo preparata, e attivata nel 1999 con ambulatori per 3 medici di
base , più un pediatra e un servizio infermieristico.
Medicina “di gruppo” che dovette superare
anche le polemiche sorte nel 1998 al momento del pensionamento per
limiti di età del dott. Lamberto Ardizzoni, essendo emerse disparità
di vedute su come dovesse esprimersi la libera scelta dei suoi
pazienti verso l'uno o l'altro dei medici che avevano diritto a
subentrargli con regolare convenzione. Furono necessari vari incontri
chiarificatori con i medici e con l'USL e un nostro volantino
pubblico per tentare di chiarirre le cose e calmare le acque che si
erano un po' agitate.
E
non posso fare a meno di ricordare il mio
reiterato impegno per gestire i rapporti con la nuova USL Bologna
Nord e la fase del difficile passaggio dalla USL 30 di Cento.
All'atto
di partenza della nuova organizzazione, il 1 luglio 1994 il nuovo
direttore generale della Bologna Nord Enzo
Palma,
aveva scritto al Direttore Generale della USL di Ferrara (e in copia
per conoscenza ai sindaci di Pieve e Castello 'Argile) per “chiedere
cortesemente di voler mantenere in essere le attuali modalità di
erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie in favore dei
cittadini dei comuni indicati (Pieve
e Argile, ndr) sino
alla successiva definizione di accordi sul trasferimento di
competenze...”
Ma,
circa un anno dopo, il 18 maggio 1996, io e il sindaco Loris Muzzi
dovemmo scrivere una lettera all'assessore alla Sanità regionale
Giovanni Bissoni e ai Direttori genereli delle due USL per
manifestare la nostra preoccupazione e la nostra “protesta
per la mancata convenzione tra le due USL” …. di Bologna e
Ferrara
per definire le questioni derivate per le popolazioni dei due comuni
bolognesi usciti dall'USL 30 di Cento. E si elencavano i problemi
aperti, i disservizi emersi e le garanzie che si richiedevano
riguardo a una serie di servizi e prestazioni ospedaliere e
territoriali: guardia medica e Pronto soccorso a Cento, prenotazioni
dalla farmacia di Argile e dal CUP di Pieve limitate solo per
servizi dell'USL bolognese, richiesta di potenziamento del
poliambulatorio di Pieve, riapertura e potenziamento del
poliambulatorio di Argile, reclami per forzate degenze all'ospedale
di Bondeno a pazienti che chiedevano il ricovero a Cento, ecc. In
una successiva seduta, il 29 maggio, il Consiglio comunale faceva
proprio il nostro documento, aggiungendo una ulteriore sollecitazione
a por fine all'inadeguatezza
e all'”attuale
stato di incerterzza”.
Arrivarono
poi in giugno e in luglio 1996 risposte parzialmente rassicuranti
dai due Direttori Generali, Atos
Miozzo di Ferrara e Enzo Palma di Bologna,
che indicavano le misure a loro dire già adottate e da adottare al
più presto per rispondere alle richieste e limitare i disagi
segnalati.
Ma
le cose migliorarono solo molto lentamente per quanto riguardava i
servizi ambulatoriali, anzi qualcosa peggiorò. Infatti, nel
febbraio 1997 il
Distretto sanitario di Cento comunicò di non poter più erogare il
servizio di Guardia Medica notturna e festiva dall'Ospedale di Cento
per i cittadini di Argile e Pieve, che dovevano pertanto servirsi da
aprile in poi del servizio erogato da Bentivoglio.
Inutili
furono le proteste di sindaco, assessore e consiglio comunale di
Argile (
a Pieve si erano già rassegnati...),
espresse in particolare con lettera del 21 marzo 1997. Del resto era
quello che si temeva fin dall'inizio e che era nella logica delle
cose, in quanto essendo il nostro Comune inserito nella USL bolognese
i contributi pubblici per la nostra popolazione venivano calcolati ed
erogati a questa e non all'USL di Ferrara, che pertanto non poteva e
né voleva farsi carico di spese in più per noi.
Tanto più che già da allora e negli anni
seguenti fu una continua lotta contro i tagli di fondi alla sanità
pubblica, riduzione di posti letto, accorpamenti e spostamenti di
servizi e reparti ospedalieri tra le varie strutture dei territori,
sia bolognesi che ferraresi.
In
particolare, ricordo ad esempio che nel dicembre
1997 partecipai, su invito, ad un Consiglio comunale straordinario a
Cento, convocato appositamente per segnalare la preoccupante
prospettiva di ridimensionamento dei servizi dell'Ospedale locale,
mentre gli investimenti regionali andavano preferibilmente verso
gli ospedali di S. Giovanni in Persiceto e Bentivoglio, e , a
Ferrara, per potenziare i nuovi poli di Cona e Valle Oppio.
Il
problema ci riguardava parecchio in quanto la popolazione nostra
aveva maggior interesse e comodità a servirsi dell'Ospedale di
Cento, rispetto agli altri più lontani e scomodi da raggiungere. Nel
corso del 1998 si riattivarono i comitati locali in difesa
dell'ospedale di Cento (ai
quali anch'io mi aggregai), per mettere in discussione il Piano
sanitario regionale e per difendere gli ospedali periferici
penalizzati da una logica puramente aziendalistica che non teneva
conto delle esigenze dei cittadini.
Le restrizioni paventate per l'ospedale di
Cento furono poi solo in parte superate perchè i servizi ospedalieri
più importanti ed essenziali furono comunque, tra alti e bassi,
mantenuti, così come la possibilità per i cittadini di Argile di
servirsene fu salvaguardata. Ma certi ostacoli burocratici permangono
tuttora.
Nel
dicembre 1997, completate le ricerche di documenti e il testo sulla
storia di Castello d'Argile, feci stampare il secondo volume, che
trattava le vicende dal 1700 alla prima metà del 1900. Ne uscì un
volumone di 550 pagine che mi costava un occhio della testa, avendo
mantenuto le stesse caratteristiche tipografiche e di contenuto, con
interrelazione tra storia locale e storia dei comuni limitrofi e
nazionale del primo. A fatica trovai ancora un po' di sponsor per
gli acquisti diretti in tipografia, ma qualcuno lo persi avendo
allora una caratterizzazione personale politica che a taluni dava
fastidio. Lo stesso Comune, per scelta della Giunta di cui facevo
parte, si limitò all'acquisto di appena 50 copie delle 1200
stampate, non volendo esporsi alla probabile critica di favorire un
assessore acquistando con denaro pubblico copie del suo libro. Anche
se per la verità io non percepivo nessun compenso, né diretto né
indiretto, e il libro non era una iniziativa privata con fine di
lucro, o di semplice espressione artistica personale, ma era il
frutto di una costosissima e faticosissima ricerca storica che voleva
essere di informazione e beneficio culturale e di lustro per il
Paese. Ancora una volta quindi misi in gioco i risparmi di famiglia
(per l'esattezza utilizzai gli arretrati dell'assegno di
accompagnamento di cui mia madre invalida per 9 anni aveva avuto
diritto e che avevo ricevuto dopo anni) e ci rimisi un po' di soldi
per la difficoltà poi di vendere il libro, troppo caro per un libro
sulla storia di un piccolo paese come Argile, con pochi interessati
alla storia locale, pur essendo apprezzato e lodato (a parole).
1996-1998.
I difficili rapporti con la Seabo (ex Acoser, ex AMGA) per il
problema dell'acqua “rossa”, mai risolto, nonostante le tante mie
sollecitazioni nella apposita Commissione
La
mia ultradecennale battaglia per ottenere un'acqua di qualità
migliore dal pubblico acquedotto l'avevo iniziata come cronista de
“Il
Resto del Carlino”
di Bologna, con un primo articolo del 16 dicembre 1979,
che segnalava la presenza di “acqua
rossa”
che scaturiva abitualmente dai rubinetti delle case di Argelato;
e l'avevo poi continuata per anni segnalando via via le lamentele che
mi pervenivano dagli utenti di varie localita, da Galliera
a Baricella, oltre naturalmente a Castello d'Argile, dove come
cittadino residente avevo più di una volta segnalato la pessima
qualità dell'acqua alle autorità locali.
L'ente gestore del servizio acquedottistico, adduzione e
distribuzione, a Bologna e provincia allora si chiamava AMGA
(Azienda
Municipale Gas e Acqua),
in collegamento col CAR
(Consorzio
Acque Reno);
in Argile, fino al 1990, la gestione dell'impianto locale, costruito
dalla Bonifica Renana, era stata del Comune.
Posso
dire che come cronista qualche risultato positivo concreto almeno
nel territorio bolognese ho contribuito ad ottenerlo, sia pur a passi
molto lenti, perchè i miei articoli, che in genere suscitavano
reazioni molto stizzite da parte dei dirigenti, fungevano comunque da
stimolo e sollecitazione per la realizzazione di piani di intervento
sulle strutture di adduzione e distribuzione.
Nei
primi anni '80 dalla
fusione di AMGA e CAR
nacque il Co.ser,
poi
denominato A.co.ser
(Azienda
consorziale servizi),
presieduta dall'ing.
Edolo Minarelli di Galliera,
che portò alla realizzazione della
Centrale in Val di Setta, con
nuova condotta Setta
– Casalecchio,
che doveva portare acqua fresca e pulita di superficie dal torrente
Setta per mescolarle e migliorare l'asfittica
e poco igienica acqua ricca di ferro-batteri, oltre che di ferro e
manganese e altre impurità, prelevata dai vecchi pozzi sotterranei
dislocati in vari punti della citta e a Calderara di Reno. Nel
1983-84, anche a seguito delle lagnanze della popolazione, sostenute
dalla mia campagna di stampa, fu posta una
nuova condotta che da Bologna
avrebbe portato acqua “buona” verso Minerbio,
Malalbergo e Baricella,
passando per Bentivoglio.
Ma
questi pur lodevoli interventi non
cambiarono la situazione ad Argelato e ad Argile,
che rimanevano escluse dal nuovo percorso delle nuove tubazioni e
continuavano a ricevere la pessima acqua dei pozzi di Calderara,
dentro vecchie tubazioni di distribuzione posate negli anni '70 dalla
Bonifica Renana. Acqua
che risultava sempre “potabile” alle analisi dell'USL, ma che al
gusto risultava spesso sgradevole, rossastra e per molti imbevibile.
L'unico
che prendeva sul serio il problema della qualità dell'acqua era
Vito Totire
consigliere dei Verdi
in Regione che ogni tanto faceva interpellanze e comunicati in
proposito, segnalando anche che le acque prodotte dai Centri di
approvvigionamento Acoser contenevano organo-alogenati
potenzialmente cancerogeni, forse
per eccesso o errori nell'utilizzo del cloro per disinfettarle e
farle rientrare nei parametri di potabilità.
Ancora nel 1988 avevo dovuto segnalare i soliti
problemi della pessima qualità dell'acqua, al sindaco di Argile e
all'USL, ottenendo le solite risposte rassicuranti sulla potabilità
certificata. Nel 1989 avevo dovuto rinunciare all'attività
giornalistica (come ho prima raccontato) e quindi sul problema, pur
sempre presente, cadde il silenzio.
Quando nel
1995 diventai assessore, tentai subito di avviare una serie di
iniziative di pressione nei confronti dell'Acoser, sperando
di avere più forza nelle mie istanze come rappresentante
istituzionale della comunità. Innanzitutto, per dimostrare che il
problema non era solo mio ma di gran parte della popolazione, avviai
tra settembre e novembre '95, una
Indagine conoscitiva
tra i cittadini, distribuendo un questionario con precise domande
per individuare anche eventuali punti maggiormente critici nella
rete locale. Risposero 600 famiglie su 1548 interpellate ( il 38%),
fornendo un campione sufficientemente ampio e significativo per
trarne utili indicazioni. 452 cittadini segnalarono la presenza di
“macchie
rugginose su lavandini e altri apparecchi sanitari”,
356 “sapore
sgradevole”,
323 “schiume
eccessive in bollitura”,
e poi
odore di ruggine, odore di cloro, colorazione frequente di rosso o
di giallo.
Molti rilevavano più caratterische sgradevoli contemporaneamente.
439 utenti (82%) dichiaravano di non
utilizzare mai l'acqua di rubinetto come bevanda,
ricorrendo all'acqua minerale.
C'erano quindi abbastanza “prove”
e testimonianze per sostenere che qualcosa non andava nel pubblico
servizio acquedottistico, che a molti utenti risultava persistente e
di lunga durata, peggiorato negli ultimi mesi.
In
base ai dati raccolti, con l'aiuto del personale dell'ufficio
comunale di riferimento, fu compilato un dossier
molto preciso, con grafici e tabulati che evidenziavano l'entità
dei problemi rilevati e la loro distribuzione sul territorio.Nella
annessa mia relazione conclusiva del dicembre '95, confutavo
in particolare la “teoria” cara all'Usl e all'Acoser,
che la colpa dei
fenomeni sgradevoli fosse degli addolcitori,
che vari utenti avevano inserito nei loro impianti domestici per
ridurre il calcare e la “durezza”
eccessiva dell'acqua erogata. Di fatto, dai dati raccolti risultò
che solo 120 dei 600 utenti interpellati, avevano apparecchi
addolcitori e altri 66 semplici filtri per trattenre le impurità, e
i fenomeni sgradevoli risultavano ugualmente negli utenti che non
avevano nessuna
apparecchiatura filtrante.
“Poichè
le caratteristiche sgradevoli –
scrissi –
sono emerse in quasi tutto il territorio comunale, in abitazioni con
o senza addolcitore, con impianti e tubature domestiche di vecchia o
di nuova installazione, crediamo che si possa concludere che i
detriti e il pulviscolo rossatro che macchiano gli apparecchi
sanitari, intasano i filtri ed emanano odore di ruggine e altro, non
nascano all'interno delle tubature delle singole case, ma siano
frutto di accumulo di elementi provenienti dalle condutture generali
dell'acquedotto. Il fatto che vengano avvertiti di più o di meno, o
affatto, lungo una stessa via, può dipendere da un maggiore o
minore consumo di acqua da parte delle famiglie, dalla potenza di
pressione, dalla presenza o meno di filtri, vasche di decantazione o
autoclave presenti nel condominio, dal livello o posizione delle
condutture rispetto ad altre vicine o comunicanti, “gomiti”,
anelli o tratti terminali (dove
era possibile un maggior accumulo di detriti, ndr). “E'
comunque questa una nostra considerazione che sottoponiamo allo
studio-verifica dell'Acoser ... e dell'Azienda Usl Bologna Nord... “
e concludevo esponendo alcune proposte
operative.
In
primo luogo una ricerca
sullo stato di erosione delle condutture di adduzione e
distribuzione,
in secondo, si chiedevano analisi
più frequenti e mirate sull'acqua, dalla fonte e fino alle
abitazioni.
Quanto
all'impianto di distribuzione locale, informavo tra l'altro che,
stando alla documentazione comunale, le reti “rurale”
e “urbana”
di Castello d'Argile erano state costruite dalla Bonifica
Renana tra il 1958 e il
1961
con
tubazioni in ghisa,
e che da allora sopportavano il flusso di acqua dai pozzi di
Calderara di Reno-Tavernelle, notoriamente ricchissima di ferro
e manganese,
che sicuramente avevano lasciato accumuli di detriti ferrosi e
corroso le tubature (risultava dall'acqua marron che usciva in
occasione dei rari lavaggi delle tubature e dalle occasionali
rotture). L'acquedotto era stato poi potenziato e ampliato nel 1980
con tubazioni in parte in
acciaio e
in parte in “fibro-cemento”
o
“cemento-amianto”,
in particolare la condotta principale che portava l'acqua da Padulle
a Castello d'Argile.
Vista
la gravità
e la durata dei problemi,
e visto che gli stessi problemi erano presenti anche in altri comuni
vicini come Argelato,
chiedevo agli enti sovracomunali competenti di farsene carico a
tutela della salute
pubblica
e anche per limitare in futuro i costi che i cittadini dovevano
sopportare a causa della cattiva qualità dell'acqua (consumo
massiccio di acqua minerale e frequenti rotture di tubazioni
domestiche troppo precocemente avariate).
Si offriva da parte del Comune di Castello
d'Argile e dei cittadini la massima disponibilità a collaborare per
l'effettuazione di ricerche e analisi.
La mia iniziativa, con l'appoggio di tutta la
amministrazione comunale, inizialmente sembrò fosse stata presa
molto sul serio da Acoser e Usl, che intervennero con qualificati
rappresentanti ad un apposita Assemblea pubblica di presentazione
della nostra ricerca, che fu ripresa dalla stampa locale, che vi
dedicò un articolo (E. Buratti su il Resto del Carlino 9/12/1995).
Pur ripetendo le solite risposte rassicuranti sulla potabilità
dell'acqua e la sua rispondenza ai parametri previsti dal punto di
vista batteriologico, e tentando sempre di caricare la
responsabilità sulle tubature domestiche, furono espresse varie
promesse di maggiori e diversi controlli analisi e verifiche sia
sulla qualità dell'acqua che sulla corrosione delle tubature
portanti.
Le
promesse, dopo vari ultetriori incontri, sfociarono nell'istituzione
di un “Comitato consultivo”
il 25 marzo 1996 (ma la prima riunione fu convocata solo 18
settembre),
comprendente
rappresentanti dell'Azienda
Acoser, dell'USL Bologna Nord, dell'Università degli Studi di
Bologna e dei Comuni maggiormente interessati, con
l'incarico di analizzare, studiare e proporre soluzioni circa il
fenomeno dell'”acqua rossa”.
Di quel Comitato, che si riuniva a Bologna in
sede Acoser, feci parte anch'io, in rappresentanza del mio Comune, e
fu una delle esperienze più faticose e frustranti della mia vita,
perchè toccai con mano la “doppiezza” di enti e aziende
pubbliche che avrebbero dovuto essere al servizio del cittadino e
garantirgli la maggior sicurezza possibile, e che invece
consideravano il cittadino il nemico da battere, sfuggendo alle
responsabilità e ostacolando le sue legittime richieste, mentre si
fingeva di assecondarle.
A
rappresentare gli altri Comuni interessati ci fu soltanto il sindaco
di Argelato, Valerio Gualandi,
che aveva già in precedenza fatto una indagine conoscitiva locale
simile alla nostra, con esiti simili. Come tecnici esperti (di fatto
periti di parte) per condurre ricerche e analisi, l'Acoser scelse il
prof. Oddone Ruggeri
, la prof. Elisabetta Guerzoni e il prof. Sandro Artina
degli Istituti
Universitari di Chimica e Metallurgia
con cui l'Azienda stipulò apposita Convenzione.
Si
procedette quindi da parte di questi professori a preparare un
“Programma
di lavoro relativo ai fenomeni corrosivi nelle tubature di acqua
potabile nei comuni di Castel d'Argile e Argelato”.
Programma, presentato nell'ottobre 1996, che appariva promettente e
pieno di buone intenzioni, comprendente il prelievo di spezzoni di
tubature di distribuzione, successive indagini di laboratorio su
campioni prelevati da reti private, installazione di centraline e
“tubi
test”in
determinati punti delle tubazioni di distribuzione per studiarne i
fenomeni microbiologici e corrosivi in determinati lassi di tempo,
con monitoraggi vari.
Ma
le cose non andarono per il verso giusto se 8 mesi dopo, in data 9
giugno 1997,
scrissi una lettera al Direttore generale di Seabo
(nuova
denominazione di Acoser)
e
ai membri del Comitato consultivo per far rilevare alcuni “ritardi
e il proseguimento della ricerca su una linea diversa da quella
concordata e promessa dalla Dirigenza Acoser all'inizio e
anche da quanto scritto nello stesso art. 4 della Convenzione
stipulata con gli Istituti universitari”.
In
particolare facevo rilevare che era stato scritto “le
indagini saranno condotte su un adeguato numero di campioni prelevati
dalle reti Acoser, …. poi , se necessario, per completare il quadro
su campioni prelevati da reti private...”
E
invece si era
proceduto all'incontrario,
prelevando prima numerosi campioni di reti private e poi , in
aprile, solo 2 campioni nella rete di distribuzione ad Argile, un
numero non sufficientemente adeguato pre conoscre lo stato reale
della rete acquedottistica in relazione ai diversi materiali e alla
loro vetustà. Rilevavo inoltre che nella riunione del 21 aprile
1997, il prof Artina, che doveva fare le indagini sull'impianto,
aveva dichiarato di non aver ancora ricevuto dalla Seabo tutti gli
elementi e i dati conoscitivi della rete acquedottistica, da lui
richiesti fin dall'inizio; dati necessari per realizzare il “modello
idraulico” di ricerca computerizzato da lui proposto.
Inascoltata
era rimasta anche la richiesta di installare a Castello d'Argile la
promessa batteria di “tubi test”, perchè, mi fu risposto che
“non
servivano”
in quanto “ i
filtri si intasano subito”.
Risposta che confermava quanto lamentavano i cittadini per i loro
filtri domestici e che dimostrava però la mancanza di volontà di
scoprire le cause.
L'ulteriore
mia richiesta di riportare l'indagine sulla rete Seabo e sulle
fonti di adduzione dell'acqua trovò di fatto un muro di gomma su
cui andare a sbattere.
L'USL ,
che in teoria avrebbe dovuto impegnarsi a maggior tutela della salute
dei cittadini, pensò bene di organizzare nel maggio
1997 un bel seminario dal titolo “Corrosione delle condotte e
qualità dell'acqua potabile. Aspetti microbiologici”
in cui si parlò dei massimi sistemi e della corrosione delle
condutture e delle esperienze di Roma, Reggio Emilia e Milano, ma non
si parlò delle tubazioni della Seabo a Bologna. E nel Comitato
consultivo la rappresentante dell'USl faceva più che altro da sponda
della Seabo, sbandierando sempre analisi che certificavano la
potabilità, senza appoggiare mai le richieste di approfondimento dei
cittadini che io e il sindaco di Argelato rappresentavamo, per
capire ed eliminare i fenomeni sgradevoli pur presenti nella stessa
acqua “potabile”.
Tanto
che, dopo ulteriori riunioni in cui si menava il can per l'aia e si
cercava di ridicolizzare le mie osservazioni e richieste in quanto
“non
competente”
della materia, a fronte della vantata superiorità e competenza dei
Docenti universitari (che si comportavano come periti di parte pro
Seabo), persi la pazienza e, nel dicembre del 1997,
diedi le dimissioni dal Comitato consultivo,
insieme al sindaco
di Argelato,
visto che si riteneva inutile la nostra presenza e il nostro
contributo.
Tra
l'altro avevo dovuto
contestare anche il verbale della seduta del 21 luglio
(redatto come sempre da un incaricato della
Seabo)
in quanto non rispecchiava il reale andamento delle riunioni, si
ignoravano le mie critiche e le mie proposte e si dava una versione
generica ed edulcorata del dibattito, arrivando anche talvolta ad
attribuire ad altri proposte mie.
Elencavo
quindi 5 punti di contestazione per omissioni e travisamenti,
lamentando che, pur dopo tante dimostrazioni di fatti , il
dirigente del settore acqua della Seabo,
dott. Raffaelli,
rappresentante dell'Azienda nel Comitato (vero avversario mio e
controparte), ancora non riconoscesse a pieno l'esistenza del
problema insinuando sempre che tutto dipendesse dalla sottoscritta,
“troppo sensibile”
e quasi una sobillatrice dei cittadini.
In
realtà i cittadini non avevano nessun bisogno di essere sobillati
ed erano piuttosto arrabbiati di suo, se, ad esempio, in data 26
settembre 1997 l'amministratore di un condominio di via Costituzione
aveva scritto alla Seabo comunicando che
non intendeva pagare la bolletta dell'acqua
in quanto il servizio fornito ai condomini era del
tutto insoddisfacente.E
non era il solo a minacciare questa reazione.
Messo
da parte il Comitato consultivo, non cessarono comunque le
richieste da parte del nostro Comune, mie e del sindaco, di mettere
in atto misure che migliorassero la qualità dell'acqua. Segnalai
le mie rimostranze anche al Difensore
Civico Regionale , Paola Gallerani, che
rispose, il 5 agosto 1998, chiedendo a Seabo di tenerla informata
dello stato di attuazione del programma di lavori di manutenzione
predisposto dalla Società. Ci furono incontri con il nuovo
presidente della Seabo, Renato Barilli e ci fu infine consegnato ,
nel un documento con la sintesi delle campagne di indagine condotte
nel 1997 dai 3 professori universitari e da un altro consulennte
privato, il dott. Italo Melchiorre nel 1995-1996. Era
evidente l'accanimento ad analizzare solo la corrosione delle
tubature domestiche, mentre non furono effettuate, o se fatte tenute
nascoste, analisi sulle tubature pubbliche di distribuzione
generale,
né con prelievi mirati di campioni, né sulle tubature prelevate in
occasione di rotture, come da noi richiesto.
Il programma di interventi proposto sembrava
comunque tenesse conto finalmente, sia pur in parte, anche delle
nostre osservazioni e richieste. Seabo si impegnò ad effettuare un
più intenso controllo dell'acqua distribuita con monitoraggio
continuo del cloro residuo e della torbidità a Padulle, Funo e
Castello d'Argile, mettendo in esercizio stazioni di disinfezione
integrative; espurghi e lavaggi delle reti Seabo con modalità
convenzionali a cadenza semestrale , ed anche, in via sperimentale un
lavaggio con acqua e aria su un tronco di rete adatto entro il
giugno '99. Si prometteva poi ossigenazione delle acque del Centro di
S. Vitale, con avvio nel giugno '98 dell'impianto sperimentale pilota
già predisposto da oltre un anno e tenuto fermo in attesa delle
conclusioni della ricerca.. Si doveva anche controllare le
prestazioni dell'impianto de deferromanganizzazione esistente presso
il detto centro.
Inoltre erano previsti interventi idraulici
sulle reti Seabo con modifiche dello schema di adduzione, valutando
la possibilità di alimentare le reti di Argile e Argelato in modo da
aumentare la percentuale di acqua proveniente da fonti diverse, e di
superficie, rispetto a quelle dei pozzi di Calderara utilizzati fino
ad allora. Nel corso del triennio 1999-2001 si ipotizzava di
individuare interventi a migliorare le condizioni di flusso
localmente insoddisfacenti, attraverso disconnessioni, magliature,
inserimento o ritarature di regolatori di pressione.
Ma
bisognava passare dalla diagnosi alla cura, dalle parole ai fatti.
Cosa che
avvenne solo in minima parte inizialmente, e poi tutto cadde nel
dimenticatoio.
Anche
perchè nel 1999 perdemmo le elezioni, io non ebbi quindi più alcun
titolo per interessarmi del problema.
E
l'acqua restò rossa, e sempre proveniente esclusivamente dai pozzi
di Calderara. E le tubazioni che la trasportano da quei pozzi ad
Argile restano di cemento-amianto, nel disinteresse generale..
1996-1998.
Dalla prima vittoria
dell'Ulivo nel 1996 alla prima sconfitta nel 1998.
Se non fu esaltante per me l'esperienza
amministrativa, ma fu tutto sommato concreta e dignitosa, il percorso
politico da me avviato con la partecipazione attiva alla costruzione
della coalizione dell'Ulivo, fu punteggiato da tante delusioni,
compensate solo da qualche magra soddisfazione di breve durata.
Già
ho accennato alle
prime avvisaglie di malcontento dei nostri Comitati per Prodi della
pianura
nel gennaio 1996 per il timore di essere esclusi nella fase
decisionale del progetto per l'Ulivo, prima delle elezioni che in
aprile portarono alla vittoria. Continuai comunque a partecipare a
incontri anche a Bologna e alla attività del coordinamento
bolognese, affidato inizialmente a Nerio
Bentivogli,
esprimendo di volta in volta critiche, consensi e proposte. Ricordo
che nel maggio del 1996, fu approvata all'unanumità dall'Assemblea
provinciale una mia proposta di scivere a Prodi, capo dell'Ulivo
vincitore in procinto di essere nominato presidente del Consiglio,
una motivata lettera per
invitarlo ad opporsi alla nomina di Cossiga a Presidente del Senato,
proposto dal centrodestra.
Furono nominati nei giorni successivi
Mancino
al Senato e Violante
alla Camera ( e forse non fu poi tanto meglio....).
Il
5 dicembre 1996,
nel dar notizia al Coordinamento provinciale della conferma del
Comitato
di Argile per l'Ulivo,
scrivevo a Bentivogli, a nome del nostro comitato, per sollecitare
“una maggior
collaborazione tra gli esponenti nazionali e bolognesi della
coalizione e una maggior coerenza con i patti sottoscritti prima
delle elezioni... “ perchè,
concludevo: “Si
avverte un profondo disagio e sconcerto a sentire le quotidiane
diatribe, interviste, dichiarazioni su stampa e TV, con
punzecchiature reciproche, insinuazioni, ambiguità e distinguo tra
le posizioni dell'uno e dell'altro, che non sembrano affatto dettate
dalla volontà di suggerire proposte per governare meglio
nell'interesse pubblico, ma piuttosto da opportunismi ed egoismi di
parte e personali. Speriamo che i vertici non distruggano quello che
la volontà popolare aveva costruito col voto” (la
coincidenza con quanto si può scrivere ancora oggi, dopo 17 anni, è
drammatica ... ndr).
Significativa
della fragilità delle basi su cui era stato fondato l'Ulivo, o,
meglio della incoerenza
di
certi suoi vertici e protagonisti, fu la prima
crisi dei rapporti con Rifondazione comunista, scoppiata
nel settembre 1997 quando i rappresentanti di questo partito in
Parlamento minacciarono
di togliere l'appoggio al governo Prodi.
Come
comitato comunale dell'Ulivo il 3 ottobre scrivemmo una lettera al
Senatore di
Rifondazione Fausto Cò (eletto
anche da noi ulivisti nella nostra circoscrizione in omaggio al
“patto di desistenza”),
per esprimere la nostra
amarezza e delusione di elettori
per il comportamento suo e del partito che stava provocando la caduta
del Governo Prodi con “motivazioni
pretestuose, contraddittorie e sostanzialmente sbagliate.... ”,
invitando a non ripetere “gli
errori compiuti dall'estrema sinistra nel passato, arroccandosi su
posizioni rigide e chiuse all'insegna del tanto peggio, tanto
meglio”,
con conseguenze disastrose per il Paese e per la sinistra e
conseguente ritorno al potere della destra, di cui R. C. avrebbe
portato una “responsabilità
storica enorme”
Lettera
firmata da me,
Grazia Cortesi, Daniele Muzzi, Paolo Resca (PPI) e Fabrizio Tosi
(PDS),
che ci procurò una
rispostaccia del senatore Cò, il
quale, lungi dal recepire la nostra critica e il nostro appello,
praticamente ci coprì di insulti. Meriterebbe di essere ricopiata
per intero per fornire un esempio di come ragionano e come certi
“eletti” “rispettano”, anzi, disprezzano, i loro elettori. Ma
ne cito solo qualche frase:
“Trovo
davvero sconcertante –
ci scrisse il senatore - la
miopia politica che contraddistingue il contenuto del Vs. fax . Essa
va di pari passo con l'arroganza tipica di chi ritiene di poter
imporre le proprie determinazioni politiche lanciando scomuniche e
minacce .... non occupatevi di politica perchè fate solo danno al
paese .......Quanto alle lezioni della storia lasciate perdere: voi
non capite neanche la lezione del presente.” (in
sostanza, scriveva lui quel che avremmo dovuto scrivere noi, ndr...)
Il
tutto per giustificare la minaccia di provocare la crisi bocciando
la Finanziaria, che il Governo Prodi stava preparando, se non avesse
accolto le richieste di Rifondazione
comunista
che non voleva essere “un
alleato subalterno”
e ricordava di non aver affatto sottoscritto il programma dell'Ulivo
ma solo il proprio, che voleva veder realizzato.
Quella
crisi fu comunque allora superata, ma solo rinviata di poco. Infatti
nel corso del 1998 mi ritrovai a scrivere altre lettere, a nome mio o
del comitato dell'Ulivo per esprimere disagio o critica per il
comportamento di esponenti di primo piano della coalizione e contro
il solito Bertinotti,
capo di Rifondazione, che di nuovo in occasione della approvazione
della annuale Finanziaria tolse il suo appoggio al Governo Prodi, che
fu battuto, per un voto in meno del necessario, e quindi dovette
dare le dimissioni ai primi giorni di ottobre 1998.
Ma non fu
solo il partito di Rifondazione, lacerato e diviso in due opposte
fazioni, ad affossare Prodi.
Grandi manovre più o meno segrete, tra esponenti DS (D'Alema)
e
PPI (Marini),
stavano tagliando l'erba sotto i piedi a Prodi per far cadere il suo
governo e sostituirlo con un altro, sempre dei centrosinistra ma
sostenuto da una nuova strana maggioranza, che comprendeva, oltre ai
partiti precedenti (DS,
PPI, Federazione dei Verdi, Rinnovamento Italiano di Dini,
socialisti democratici dello SDI)),
il nuovo PdCI
(Partito dei Comunisti Italiani) fondato
e presieduto da Oliviero
Diliberto che aveva
provocato una scissione da Rifondazione proprio
per poter sostenere il governo di centrosinistra a cui Bertinotti
invece era contrario), e, ciliegina sulla torta, con l'apporto
dell'UDR (Unione
democratica per la Repubblica),
un'improvvisata formazione politica vagamente centrista appena
inventata da Cossiga,
da sempre nemico dichiarato di Prodi, dell'Ulivo e dei comunisti.
Insomma un gran pasticcio, per formare un nuovo
governo destinato a durare poco .
Il
passaggio dal Governo Prodi a quello presieduto, guarda caso, da
Massimo D'Alema, avvenne nell'ottobre 1998.
Segnale
premonitore del ribaltone anti-Prodi che si stava preparando in
casa DS, lo notai nel settembre 1998, quando ebbi modo di assistere
alla Festa
dell'Unità a Bologna
ad un surreale dibattito pomeridiano tra Marco
Minniti
(allora braccio destro di D'Alema) e Francesco
Cossiga, che
per la prima volta in vita sua era stato invitato e partecipava ad
una Festa dell'Unità. Io e tanti altri spettatori ci chiedevamo
perchè mai quel dibattito con scambio di cortesie e sfoggio di
spirito di pacificazione tra ex avversari.
La
risposta venne coi fatti di ottobre: la
cacciata di Prodi, il nuovo governo retto da D'Alema, col sostegno di
Cossiga.
E
fu l'inizio della fine della esperienza originaria dell'Ulivo, che
tante speranze di rinnovamento della politica aveva suscitato in noi
ingenui ulivisti della società civile, per trovarci invischiati
ancora una volta in manovre della peggior partitocrazia praticate da
chi stava ai vertici e prendeva le decisioni a nostra insaputa e
contro i nostri desideri e aspirazioni.
Io
e il comitato argilese continuavamo a scrivere lettere ogni tanto per
lamentare certe prese di posizione. Per esempio, il 14 luglio 1998
esprimevo a nome del comitato “delusione
e amarezza per le inopportune affermazioni del Capo dello Stato
(Scalfaro)
e dei leader del
centrosinistra espresse subito dopo le condanne per corruzione della
Guardia di Finanza. In nome di un garantismo ipocrita e di falsa
equità.... sono stati messi sullo stesso piano i condannati e i
loro giudici, come fossero colpevoli entrambi allo stesso modo.... Ma
voi politici volete proprio tappare la bocca e legare le mani ai
giudici per essere i soli a parlare, su giornali e TV, distorcendo a
vostro piacere fatti e misfatti della vostra categoria?...”
Erano
i giorni immediatamente successivi alla condanna comminata dal
Tribunale di Milano a Berlusconi a 2 anni e 9 mesi di carcere per le
tangenti pagate dalla Fininvest alla GdF; alla prevebile reazione
contro il “regime
giustizialista”
da parte di Belusconi e del centrodestra, si erano aggiunte critiche,
distinguo e sostanziali accuse
di “protagonismo”
ai giudici del Tribunale di Milano
anche da parte di
esponenti del Centrosinistra.
Il
3 ottobre scrissi personalmente al Ministro della Giustizia del
governo Prodi, avvocato Giovanni
Maria Flick,
“per esprimere un
forte sentimento di delusione per i recentissimi provvedimenti da lei
presi contro alcuni giudici del Pool di Milano.....”
Ma ormai la crisi incombeva e a nulla valse la
nostra attestazione di solidarietà a Prodi, scritta il 7 ottobre,
perchè il 21 dello stesso mese dovette rassegnare le dimissioni.
1999 . In
Argile, in giugno, la lista “Progetto democratico” con un
candidato sindaco DS, perde.
In Italia, Prodi e Parisi fondano il
nuovo partito dei “Democratici” dell'Asinello
Insediato
il governo presieduto da D'Alema la situazione non migliorò, se nei
miei appunti per una riunione locale in preparazione delle elezioni
amministrative del giugno 1999, esprimevo “perplessità
e delusione per il comportamento di D'Alema e la politica DS sulla
giustizia fin dall'inizio della legislatura, anche per la scelta dei
presidenti di Commissioni-chiave
come Boato e Del
Turco alla Giustizia e all'Antimafia, e per l'ambiguità di
Pellegrino alla Commissione Stragi“......
Lamentavo lo sconcerto
e la confusione
provocata tra gli elettori dalle dichiarazioni di D'Alema e Folena,
in contraddizione con quella che doveva essere la linea dell'Ulivo.
Rilevavo nel gruppo dirigente DS nazionale prese in giro e critiche
agli “ulivisti” e una “oscura
volontà di compromesso con Berlusconi e il Polo”
mascherata da “dialogo”
a tutti i costi.
Ma, evidentemente, con Cossiga a sostegno del
governo la linea doveva essere quella. E il malcontento non
serpeggiava solo in me e nel comitato per l'Ulivo locale.
Romano
Prodi,
ovviamente deluso e amareggiato per essere stato defenestrato,
raccolse intorno a sé altri gruppi e movimenti scontenti della
situazione, fondando un nuovo “partito-non
partito”,
che, pur volendo raccogliere l'eredità dell'Ulivo e sostenerla,
avesse una sua
fisionomia e forza elettorale, alleata, ma distinta dai DS.
Aderirono
alla fase costituente i Movimenti
per l'Ulivo, i sindaci delle “Cento città” con Rutelli,
Cacciari e Bianco, Di Pietro con la sua Italia dei Valori, la Rete di
Orlando e la neonata Unione Democratica di Maccanico. A
Bologna, suscitò scalpore e perplessità l'adesione di Antonio
La Forgia, esponente
di spicco DS,
Presidente della Giunta della Regione Emilia Romagna, che si dimise
dalla carica e dal partito in cui aveva militato, fin dagli esordi
nel PCI e sempre in cariche di rilievo. Non ho mai capito il senso e
le vere motivazioni di questa apparente “conversione” incassata
con molto fair
play dai
DS bolognesi. Se non che imperscrutabili disegni divini fecero sì
che fosse proprio lui a diventare la figura più influente e di
spicco tra gli sparsi e poco organizzati Democratici
bolognesi, tanto da essere subito candidato alle elezioni europee
(non sono mai riuscita a levarmi dalla testa il sospetto che la
“conversione” di La Forgia, e del suo fido braccio destro
Monari, fosse stata studiata a tavolino e concordata di nascosto per
tenere poi sotto controllo il nascente movimento.... A pensar male si
fa peccato???).
Io, tanto per non cambiare, il 21 aprile 1999,
mandai un fax a Prodi, al coordinatore provinciale Bentivogli e al
Comitato elettorale per sconsigliare questa candidatura, come
inopportuna e non adatta a caratterizzare il neonato
movimento-partito, suggerendo quella di Bentivogli, più vicina alla
società civile e più distante dalla vecchia partitocrazia.
Naturalmente
nessuno mi rispose. La Forgia fu comunque candidato per le europee,
ma non vinse il seggio perchè “I Democratici” non ebbero
abbastanza voti nella Circoscrizione Nord Ovest per eleggerlo. In
tutta Italia con una percentuale del 7,3% il nuovo partito
ottenne 6
parlamentari,
tra cui Di Pietro..
L'anno
dopo, nel 2000, La Forgia ebbe il suo premio, fu candidato ed eletto
per i “Democratici” alle elezioni regionali e quindi ritornò
nelle alte sfere della Regione e questa volta divenne, con i voti
anche dei consiglieri DS, Presidente del Consiglio regionale, carica
che ricoprì fino al 2005 (per
passare poi al Parlamento nazionale col PD).
In
politica, tra tanti dilettanti, a condurre il gioco e occupare le
cariche importanti sono sempre i “professionisti”.
Prodi
doveva essere il capo e la guida de “I Democratici”, ma essendo
stato eletto dopo pochi mesi Presidente
della Commissione europea,
la guida fu affidata al cofondatore Artuto
Parisi.
Inizialmente,
tra il 1999 e io 2000, si discusse a lungo se doveva essere un
“partito”
o un “movimento”,
e per tentare di
caratterizzare idealmente questa aggregazione tra laici e cattolici,
liberaleggianti e socialdemocratici, che non voleva essere
considerarata “moderata” o “centrista” o “la seconda gamba
dell'Ulivo”, ma “al centro dell'Ulivo”.
Intanto
però le perturbazioni a livello nazionale si riflettevano anche a
livello locale
argilese.
I DS si impuntarono a voler presentare come candidato
sindaco
il proprio uomo di punta, Fabrizio
Tosi, immagine storica ad Argile del “comunista”,
che da decenni gestiva la sezione locale del partito. A nulla valse
il tentativo del fragile Comitato mio di ulivisti e prodiani
conferiti nei Democratici,
di convincerli a scegliere un'altra figura meno caratterizzata
politicamente, come poteva essere, ad esempio, Maria Grazia Cortesi.
Ma non ci fu niente da fare. Alla fine della “trattativa”,
obtorto collo, si accettò di fare ancora una lista insieme,
intitolata “Progetto
Democratico”,
in cui troppo debole era l'apporto del nostro gruppo e il nostro
potere contrattuale, con un elettorato ipotetico tutto da conquistare
e verificare e quasi certamente poco attratto dal candidato sindaco.
Alle
elezioni europee del
giugno '99,
nonostante tutto, la
lista dei Democratici raccolse 414 voti,
corrispondenti al 13,75%,
la metà di quelli raccolti dai DS e più del doppio di quelli
raccolti dal sempre travagliato PPI, ridotto al 5,5%. Comunque il
risultato era il più alto nei confronti con la media bolognese e
nazionale attestata tra il 7 e l'8%
Ma
le contemporanee amministrative andarono male, perchè tutto il
centrodestra ex Dc, buona parte del PPI e AN si coalizzarono
formando una lista sapientemente presentata come “civica”,
guidata da Massimo
Pinardi,
un volto nuovo non troppo caratterizzato politicamente (ma piuttosto
cattolicamente) che ebbe buon gioco nella sfida contro il politico
“comunista”.
La loro lista “Qui
Argile” vinse con un margine ristretto di 80 voti.
Ma vinse; e i candidati della nostra lista si ritrovarono
all'opposizione con
solo 5 consiglieri (su 20),
dato il sistema maggioritario in vigore nel comune di Argile.
Grande fu la delusione di tutti noi che ci
eravamo impegnati, anche se era avvenuto quel che si era temuto ed
era prevedebile, conoscendo la realtà argilese, già storica
“mosca bianca” del bolognese con la più forte DC e con il più
debole PCI della provincia.
Ci
dovemmo poi sorbire un
attacco fortemente polemico
perchè nei mesi successivi i primi 3 dei nostri consiglieri
eletti si dimisero (Loris
Muzzi, Scardovi e Ciccone),
e altri 3 che seguivano in lista (me
compresa) si dichiararono non disponibili al subentro.
Al che gli esponenti di Forza
Italia, AN e CCD , sponsor
e sostenitori della lista pseudo-civica vincente,
nel gennaio 2000 con un manifestone e volantini colsero l'occasione
per accusarci di “menefreghismo”
e “ ballo
delle sedie”.
Rispondemmo con un altro manifesto e volantini (scritti a mano e
fotocopiati) per ricordare che, avendo perso, la rappresentanza in
Consiglio era risultata affidata a 5 consiglieri tutti DS, potendo
questo partito contare su un maggior numero di elettori e preferenze
da distribuire in modo organizzato. Lasciando le cose come erano
uscite dalle urne, i DS potevano essere accusati di egemonizzare la
rappresentenza a danno dei gruppi minori che risultavano esclusi.
Con le dimissioni e le surroghe si fece in modo di far subentrare
rappresentanti degli altri due gruppi (Democratici
e Rifondazione)
che avevano sostenuto e votato la lista. Del resto le differenze tra
gli uni e gli altri erano di pochissimi voti. E la “sedia” di
consigliere comunale di minoranza era tutt'altro che comoda e
redditizia.
Facemmo
rilevare infatti che nei 4 anni in cui avevamo avuto la maggioranza
nessuno si era dimesso e avevamo lavorato con
impegno e gratis perchè
allora gli assessori non erano pagati se non con un irrisorio gettone
di presenza (lire 18.000), come i consiglieri, per ogni seduta di
Giunta (1 alla settimana) e di Consiglio (1 al mese, in media).
Mentre la nuova amministrazione aveva aumentato il numero degli
assessori da 4 a 6, i quali godevano delle nuove disposizioni che
attribuivano compensi mensili per assessori ( lire 675.000) e
vicesindaco (lire 900.000), oltre che per il sindaco. Se mai, le
sedie buone se le erano aggiudicate loro.
Questa ed altre polemiche scaturite anche da volantini anonimi con
accuse immeritate e risibili ( ci addossavano le colpe di Stalin!!)
aumentarono la mia amarezza e delusione per l'esperienza politica
diretta e giurai che mai più mi sarei messa in una lista.
2000-2001-2002.
Da “I Democratici” alla Margherita, al nuovo Ulivo guidato da
Rutelli. Ma vince di nuovo Berlusconi. E la Margherita esordisce a
Parma con la fuga di Parisi. Più che un percorso politico, una Via
Crucis.
Nonostante le suddette delusioni
continuai a impegnarmi per mantenere comunque attivo un minimo di
organizzazione nel comitato locale de “I Democratici”, tenendo
anche i contatti con il coordinamento bolognese
e partecipando a varie riunioni, con interventi a voce e per iscritto
per dire la mia su come avrebbe dovuto essere questo nuovo
“partito-non partito”
allora nella fase “costituente”,
per non fare la figura dei dilettanti allo sbaraglio e darsi una
organizzazione democratica che potesse avere un futuro, senza cadere
nei vizi che avevano fossilizzato e inquinato i vecchi
partiti.
Partecipai
come Delegato
all'Assemblea
Regionale a Bologna il 22-23 gennaio 2000
, all'insegna del motto “Uniti
per unire”
(quanto mai ingannevole...); con i miei interventi dei mesi
precedenti mi ero conquistata un po' di stima e attenzione, e
qualcuno voleva anche propormi come candidata per qualche incarico.
Ma declinai l'invito, troppo consapevole dei miei limiti personali e
della mia inadeguatezza di provinciale ad affrontare la mischia
delle
rivalità in politica che serpeggiava tra i bolognesi.
Fiumi
di parole e di belle speranze, tra tante brave persone, piene buone
intenzioni, tra cui molti giovani espressione del vario e ricco
Associazionismo bolognese, che però naufragarono in nuove delusioni.
L'esperienza de I
Democratici, simbolizzati dall'asinello, durò poco più di un paio
d'anni,
giusto il tempo per avere un modesto risultato alle elezioni
regionali del 16 aprile 2000,
quando in Emilia
Romagna
fu eletto Vasco
Errani (DS) Presidente (col risicato 52%) e Mauro Bosi di Crevalcore
consigliere per i “Democratici” (col 7%) , sostenuto dal nostro
gruppo. Ma
le elezioni regionali in tutta Italia non andarono bene per il
centrosinistra e per i DS in particolare, che persero molti voti.
A livello
nazionale si
formarono quindi le
prime crepe, nei
Democratici
e
nella alleanza di centrosinistra perchè
di Pietro si dissociò, essendo
contrario alla candidatura di Amato
come capo del Governo, che subentrò il 25 aprile 2000, dopo le
dimissioni di D'Alema,
motivate dell'insuccesso elettorale delle regionali.
E'
vero che giunse il
soccorso del PPI che entrò ufficialmente nell'orbita del
centrosinistra,
appoggiando il governo Amato, e ponendo le basi per un
accordo con i Democratici
che avrebbe dato vita ad una
nuova formazione politica:
la Margherita.
Ma anche il suo peso elettorale era ridotto al lumicino, essendo
ormai spolpato
dalle fughe degli elettori ex democristiani verso Forza Italia e le
altre piccole formazioni centriste
che andavano e venivano di qua e di là cambiando nome, con Casini,
Buttiglione, Cossiga, Mastella, D'Antoni
e altri, che pendevano alla fine più verso destra e Berlusconi.
Così
il 2001 fu l'anno
della costruzione del nuovo partito,
a livello locale e a livello nazionale.
E
fu anche l'anno
della sconfitta di Francesco Rutelli alle elezioni politiche del 13
maggio, sotto
l'ombrello e il simbolo di un nuovo
Ulivo.
Io,
da buona ulivista della prima ora, sperando ancora si potesse
ripartire con lo stesso spirito, pur con un leader che non aveva la
stessa competenza e autorevolezza di Prodi, considerando che
dopotutto Rutelli proveniva dai Democratici, lo sostenni e mi
impegnai pure nei banchetti a Bologna per la sua campagna elettorale,
“vendendo” mini vasetti di ceramica con piantine. Come
responsabile del
Comitato Rutelli 2001
di Argile versai a Roma pure lire 500.000 delle 1.000 raccolte
tra 24 aderenti (tra cui la sottoscritta, sempre disponibile anche a
regalare miei libri, e spendere personalmente in telefonate, viaggi,
gadget vari. Cosa non si fa per la causa, quando si è in buona fede
.... mentre chi è in malafede incassa...).
Perse
quelle elezioni nazionali e tornati amaramente sotto un governo di
Berlusconi, bisognava
pur reagire e continuare la battaglia ideale, raccogliere i cocci,
ricostruire il vaso rotto e andare avanti.
Ecco
dunque che il 2
giugno 2001
mi presi la briga di andare
a Roma con
un pullman di ulivisti bolognesi per partecipare ad una assemblea
all'hotel
Ergife dove
tutti i big della coalizione intervennero per fare il punto della
situazione e valutare come proseguire l'azione politica dopo la
sconfitta. Con l'amico – collega di gioie e dolori democratici
Franco
Roncati di S. Giorgio di Piano, improvvisai
un manifesto con la scritta a pennarello “Chi
ha ucciso il primo Ulivo non uccida anche il secondo”, e lo appesi
sulla parete in fondo alla sala a fronte del palco su cui si stava
esibendo D'Alema,
il personaggio a cui era diretto il messaggio.
Che
non si scompose, ovviamente, ridendo sotto i baffetti.
Intanto il governo Berlusconi non perdeva tempo
e metteva in campo le sue “riforme” in campo giudiziario per
liberarsi di alcuni fastidiosi problemi e processi personali. In
pochi mesi deliberò nuove norme per mettere i magistrati in
mobilità anche senza il consenso del CSM per spostarli o
arruolarli nei ministeri, deliberò la riassegnazione delle scorte
riducendole ai magistrati impegnati in prima linea nei processi
contro la criminalità organizzata, rese le rogatorie più difficili,
e soprattutto depenalizzò il falso in bilancio modificando la
formulazione dei reati in modo da far decadere i 3 processi della
fattispecie in cui era imputato.
A
Bologna il periodico del Gruppo consiliare de “I
Democratici con
Prodi“,
“CittàComune”,
diretto da Giuseppe
Paruolo, segnalava
il fatto e invitava i parlamentari eletti con l'Ulivo, pur in
minoranza, ad essere più uniti e fermi nel condannare queste
“riforme”,
alzando la voce invece di “abbassare
i toni”
come qualche esponente dell'Ulivo avrebbe voluto, e non si capiva
perchà, data la gravità delle conseguenze.
Il
problema della nuova offensiva del Governo contro la magistratura
provocò una reazione forte nella società civile e in alcune
associazioni e movimenti, intellettuali e stampa. Tanto che fu
organizzato a Milano
al Palavobis un convegno di protesta in difesa della linea delle
“Mani pulite” e della legalità, il 23 febbraio 2002.
Naturalmente
vi partecipai ritenendo utile dare un segnale di testimonianza
contro una politica deleteria per il Paese.
L'avventura
de “I
Democratici”
terminò ufficialmente con l'Assemblea delle Regioni del 1-2-3 marzo
2002 , riunita a Roma
in sessione straodinaria per decretearne lo scioglimento,
alla quale anch'io partecipai, così come partecipai neanche un mese
dopo, il 22-24 marzo
2002 al Congresso Costitutivo di Democrazia e Libertà- La
Margherita, a Parma, sotto
il roboante e visionario titolo “Liberare
le persone per governare il mondo”.
Partecipai
anche qui
come delegata
del territorio bolognese, in particolare del Coordinamento
“Amici della Margherita” che avevamo costituito, il 3 dicembre
2001,
con tanto di Regolamento
e sede iniziale a casa mia, tra i rappresentanti dell'ambito
territoriale del
Collegio n. 18,
comprendente
vari Comuni della pianura : Castello
d'Argile. Pieve di Cento. Argelato, Bentivoglio, Calderara di Reno,
Crevalcore, Castel Maggiore, Galliera , S. Giorgio di Piano, S.
Pietro in Casale, S. Giovanni in Persiceto, Sala bolognese e S. Agata
bolognese.
Già
avevo espresso, con lettera del 20 marzo 2002, le
personali forti perplessità
sulla bozza di
Statuto della “Margherita”,
preoccupata per “la
vaghezza sul reale ruolo politico istituzionale dei Circoli e la
troppo complessa formulazione di alcuni articoli relativi alle
modalità di adesione e partecipazione degli aderenti,
o iscritti
ai Circoli... con forti
dubbi sulla legittimità
della prevista “adesione
collettiva dei Circoli ...sulla
adesione delle associazioni apolitiche, sulla scelta... sulla
formazione degli organi dirigenti... e
tanto altro; allegando anche un altro scritto con alcune mie proposte
di emendamenti alla bozza di Statuto Regionale per formulazioni più
chiare e democratiche.
Naturalmente nessuno mi rispose. Nelle prime
due giornate di Congresso a Parma la bozza di Statuto nazionale, o
federale, non fu né presentata, né distribuita, né discussa, ma
fu approvata alla cieca dai presenti per alzata di mano nella
giornata conclusiva … che finì nel modo peggiore.
Doveva
essere una festa, ma si concluse in modo disastroso. Arturo Parisi,
coordinatore de
I Democratici,
uno dei due cofondatori della nuova formazione politica, la domenica
mattina, nella fase conclusiva del congresso, invece di presentarsi
sul palco a fare il suo intervento, sparì
per fuggire a Bologna, lasciando solo un vago comunicato stampa
all'ANSA in cui annunciava le sue dimissioni, in dissenso con la
conduzione del congresso da parte di Rutelli.
Non
solo, ma quando si era appena diffusa la notizia, tra lo stupore
generale dei delegati, mentre sul palco saliva Castagnetti
per
fare il suo intervento di adesione a nome dell'ex
PPI,
il gruppetto dei delegati “democratici”
bolognesi, che io ben conoscevo, si scatenò in una rumorosa
contestazione, gridando il nome di “Arturo”
(Parisi)
con evedente ostilità verso l'espomente PPI e in difesa del
fuggitivo. Io me ne dissociai, stupita e costernata.
Insomma era
come se ad un matrimonio uno dei due nubendi non si presentasse
all'altare e mandasse gli amici a fischiare e contestare il
promesso sposo.
Dire
che tornai a casa
arrabbiata nera è
dire poco, dopo che mi ero tanto impegnata per favorire nel mio
territorio l'avvicinamento e la collaborazione tra exPPI e
Democratici e mi ero sorbita da parte dei rispettivi dirigenti fiumi
di parole che promettevano pace e concordia e spirito unitario e
ulivista .
E ancor di più mi arrabbiai qualche giorno dopo, il
27, quando comparve su Repubblica
una dichiarazione di La
Forgia
che ricostruiva a modo suo l'accaduto e concludeva “l'unico
modo oggi per dare una mano a Rutelli è quello di stare
decisamente con Parisi”.
Fu
la goccia che fece traboccare il vaso dalla mia pur enorme pazienza,
perchè si capiva benissimo dove si voleva andare a parare e quali
erano i motivi di bassa bottega che avevano determinato la frattura
già sul nascere del nuovo partito: la
ripartizione delle cariche tra Democratici e PPI e
l'evidente, e reciproca
ostilità,
soprattutto tra ex
PPI e gli ex Democratici di provenienza DS che
volevano, come sempre, mantenere la regia del nuovo partito puntando
su Parisi e Rutelli, che ex DS non erano, ma non erano nemmeno ex
DC, e, soprattutto Parisi era fortemente insofferente verso certi
esponenti PPI come Marini, che invece voleva entrare a gamba tesa e
in posizione altolocata.
Mi
sfogai scrivendo (tanto per cambiare) una dura “Lettera
aperta di una delegata al Congresso della Margherita”
che inviai a un bel po' di giornali, oltre che a tutti gli amici
“Democratici”
e “Popolari”
che avevo conosciuto negli incontri politici degli anni e mesi
precedenti
Ricordando
che ero stata una sostenitrice ed elettrice di Parisi, scrissi:
”...Professor
Parisi, questo non ce lo doveva fare, per rispetto di noi della base,
del neonato partito, dell'Ulivo e del Paese intero in un momento in
cui c'è tanto bisogno di unità di tutti quelli che credono nella
democrazia e hannno bisogno che le forze politiche dell'opposizione
si muovano con forza, coerenza e saggezza, contro un governo così
disonorevole e contro una pericolosa ripresa del
terrorismo....Nossignori, una politica seria, nuova, di unità, non
si fa così. Le ragioni che Parisi ha spiegato il giorno dopo , a
disastro compiuto sulla stampa e in TV, non mi sembrano
sufficienti....Della esistenza di vecchi metodi e nostalgie in alcuni
settori degli ex DC/PPI lo sapevamo tutti, ma con il concorso di
tutte le forze nuove che pure si sono viste e sentite al congresso,
potevamo superarle...”
La
mia lettera fu pubblicata su Il
Resto del Carlino
ed ebbe parecchie risposte da parte degli amici a cui l'avevo
indirizzata. Tutte di consenso per le mie argomentazioni e di
sconcerto per quanto avvenuto.
Lo
“strappo “a livello nazionale, anche per i buoni uffici
pacificatori di Prodi, fu poi superato, almeno formalmente; e si
concluse in aprile nell'Assemblea federale che elesse Francesco
Rutelli presidente, Arturo Parisi vicepresidente e
Dario Franceschini
coordinatore;
Franco Marini
all'organizzazione.
Il
3 aprile 2002, scrissi anche a Filippo
Andreatta,
presidente della Commissione che doveva sfornare lo
Statuto regionale per
l'Emilia Romagna,
allegando alcune precise proposte di emendamenti
a vari articoli della bozza
che era stata diffusa via internet. Seppi poi da chi era presente che
le mie proposte furono lette e discusse; ma quasi tutte respinte.
Il
2002 fu
comunque l'anno più intenso della mia attività politica, perchè
volli parteciapare anche alla manifestazione intitolata “Una
festa di protesta” che si tenne a Roma in piazza S. Giovanni il 14
settembre e che vide una
fortissima mobilitazione di tutto l'universo della
sinistra, ulivista e bertinottiana, girotondi, sindacati, i big del
DS (tranne D'Alema) e Margherita, Fo, Moretti e Gino
Strada. La protesta
era ovviamente contro Berlusconi che,
di nuovo al governo, stava sfornando leggi ad personam, dalla Cirami
ad altre, che sfidavano ancora una volta la Costituzione e il
principio della legge uguale per tutti.
Manco
a farlo apposta, fui adocchiata e intervistata per caso tra la folla
da una giornalista dell'Unità, Marina Mastroluca, che
notò il mio cartellino arancione- gadget ricordo del
Palavobis appeso al collo, e che
mi dedicò qualche riga nell'articolo di resoconto della
manifestazione, il giorno dopo, 15 settembre (a pag. 4). “C'è
voluto Berlusconi per portarmi in piazza a 62 anni”
fu la prima frase mia citata in apertura dell'articolo.
Grande successo
della manifestazione, esaltante bagno di folla, ma nessun cambiamento
di linea da parte del governo. Figuriamoci....
2002-2004.
Costituisco un Circolo della Margherita ad Argile e curo la
segreteria del Coordinamento dei Circoli del Collegio 18. Candidatura
mia in lista per la Provincia nel 2004
Nonostante le delusioni suddette, posto che la
speranza è l'ultima a morire, continuai a tentare di
di contribuire per dare un contenuto democratico, nella struttura e
negli scopi, al nuovo partito in cui mi ero imbarcata.
In
primo luogo, nel 2002,
mi attivai per fondare secondo le nuove regole un Circolo
della Margherita in Argile,
e ci riuscii a fatica, raccogliendo le adesioni di alcuni dei
“democratici” della prima ora e alcuni ex PPI ulivisti. In
maggio, alla riunione di presentazione e fondazione, tenuta in sala
polifunzionale, vennero a parlare
Mauro Bosi consigliere
regionale, Leonardo
Draghetti
coordinatore provinciale e Giuseppe
Paruolo,
presidente provinciale e consigliere comunale a Bologna. Ma le
adesioni erano scarse e ci sentivamo come un
vaso di coccio tra vasi di ferro.
Anche perchè l'impostazione del nuovo partito era tutt'altro che
chiara. Tanto che, ancora una volta, dovetti segnalare, con lettera
del 17 ottobre 2002, la
difficoltà che i simpatizzanti trovavano per iscriversi, a
causa delle cervellotiche regole fissate dagli Statuti, federale e
regionale, e dalle linee-guida del Comitato Provinciale di Bologna.
Nella lettera, che in parte ricalcava quella mia precedente inviata
prima del Congresso di Parma, si confutavano punto per punto gli
aspetti critici e si affermava che “si
ricava la sgradevole impressione che si voglia un partito fiscale e
diffidente con gli iscritti, ma molto largo di manica con una
oligarchia di “eletti” nominati e cooptati che sono molto
interessati a mantenere lo status quo di copertura delle cariche,
anche quelle “provvisorie”...
(Ogni accostamento a quanto è avvenuto da sempre, prima, dopo,
dentro e fuori dalla Margherita e da altri partiti, è legittimo e
sempre di attualità, ndr).
La
lettera fu sottoscritta dal gruppetto dei volonterosi
fondatori/sostenitori; oltre che da me: Angelo
e Marco Bovina, Daniele Muzzi, Paolo Resca, Adriano Casini, Marta
Barbieri.
Al gruppo attivo si aggiunsero
Maria Grazia Cortesi , Marina e Stefania Del Buono, Paolo e Riccardo
Bovina.
Portavoce del Circolo di Argile fu eletto Angelo
Bovina.
Cercammo
comunque di svolgere un ruolo attivo e costruttivo nell'ambito
dell'Ulivo
locale e bolognese e nell'ambito del Coordinamento
dei Circoli della Margherita del Collegio 18,
soprattutto in preparazione delle tornate elettorali che incombevano
quasi ogni anno, ora europee, ora politiche, ora amministrative
locali, provinciali o regionali.
Eravamo allora in minoranza e
all'opposizione, sia a livello locale rispetto alla Giunta guidata da
Massimo Pinardi che a livello nazionale con il governo Berlusconi.
E, nell'ambito del ricostituendo Ulivo,
la Margherita “contava
come il 2 di coppe quando è briscola denari”.
Negli
anni 2002 e 2003, il cordinamento dei circoli del Collegio 18
funzionò abbastanza regolarmente; gli incontri avvenivano a casa mia
o a casa di Franco
Roncati di S. Giorgio di Piano.
Io fungevo da segretaria e curavo la corrispondenza via email.
Il
primo portavoce da noi eletto fu
Gianluigi Giandinoto
di Crevalcore,
e nel suo periodo di attività ci impegnammo per stilare un ampio
documento di 12 pagine con Osservazioni
e proposte per la Carta dei Principi,
la cui bozza in preparazione a livello nazionale ci soddisfaceva solo
in parte. Poi Giandinoto cominciò a manifestare disagio e dissenso
sulla politica nazionale della Margherita su vari problemii,
dalle posizioni espresse sul referendum sull'art. 18, alla
posizione sull'Iraq, al metodo di elezioni per le cariche provinciali
e regionali e si dimise dalla carica di coordinatore; carica che
comunque era di breve durata e assegnabile a rotazione.
Eleggemmo
poi nel 2003 Marco
Marchi di Calderara di Reno.
Inizialmente
il nostro Gruppo di
coordinamento, non previsto da alcuno Statuto regionale, non era
visto di buon occhio dai livelli superiori, forse temendo potessimo
costituire un “pericolo” e un ostacolo per chi voleva decidere
senza essere disturbato da obiettori;
ma poi fu accettato e apprezzato, almeno nei suoi aspetti di
informazione e collaborazione reciproca, e più volte partecipò
alle nostre riunioni il
coordinatore provinciale Giuseppe Paruolo;
spesso era presente anche il consigliere regionale Mauro
Bosi.
Ricordo
tra i più assidui, oltre a Roncati e ai già citati, anche Gabriele
Vitali e Paolo Crescimbeni da
S. Giorgio di Piano,
Valentino Bianchini da
Sala bolognese, Giuseppe Bassi e Stefano Montevecchi da
Galliera, Giuliano
Salsini da
S. Pietro in Casale, Giordano Cioni da
S. Matteo della
Decima e Tommaso Cotti da
S. Giovanni in
Persiceto, Marta Vandelli e Stefano Marani da
Argelato, Maria Rosa Nannetti da
Crevalcore, Maria Grazia Tosi e Francesco Govoni da
Pieve di Cento
Nel
2004
fu il turno delle elezioni europee e amministrative per Comune,
Provincia e Regione e furono necessari altri contatti e incontri di
preparazione. Mi restano dell'attività intensa di quell'anno
alcune copie di lettere scritte che testimoniano le difficoltà e il
mio disagio. Disagio che non era solo mio se il 17 febbraio
preparai una proposta scritta a nome di un gruppo di uliviste attive
di Bologna con le quali avevo partecipato alla “Convention”
del 14 febbraio a Roma
per la rinascita dell'Ulivo. “... vuoto
organizzativo, incertezza, mancanza o confusione di direttive e
carenza di democrazia interna,,.”
erano le doglianze espresse; e si proponevano quindi correzioni, come
l'apertura di una sede a Bologna, l'utilizzo di uno strumento
informatico unico, aggiornato, efficace e utile per la
comunicazione, l'informazione e il coordinamento degli iscritti e
simpatizzanti. Si chiedeva anche una maggior modestia da parte di
alcuni che amavano distinguersi e vantare di essere “prodiani”,
come se fosse una corrente o fazione di superfedelissimi distinta
dagli altri, per farsi belli di meriti non propri. “Nella
Margherita e nell'Ulivo siamo tutti prodiani, se buoni o cattivi
dipende dalle nostre azioni...”
scrivevo.
In
un'altra lettera personale del 27 febbraio, indirizzata via email ai
massimi dirigenti nazionali, regionali e provinciali della Margherita
(Parisi,
Rutelli, Franceschini, Marini, Monari, Paruolo, Bosi),
concludevo un lungo elenco di doglianze con un “vi
dico che non ne posso più”
Nella
suddetta lettera mi lamentavo della “procedura bulgara che ha
portato Marco Monari a coordinatore regionale (candidato unico e
indiscusso per imperscrutabili protezioni divine) senza il minimo
coinvolgimento degli iscritti, né due righe di informazione o
curriculum o programmi, prima e dopo.....” .
Citavo poi la procedura sbrigativa e la mancata informazione agli
iscritti in varie occasioni, l'assenza di una democrazia interna
reale, l'utilizzo molto personale che Monari faceva dei suoi
rapporti con la stampa locale, che mettevano sempre in cattiva luce
le divisioni nella Margherita, con informazioni provenienti
dall'interno che davano largo spazio soprattutto a certi critici che
si definivano “cattolici”, si denigrava Paruolo e si incensava
sempre e solo Monari. Segnalavo quindi la mia delusione “per
un partito che doveva essere nuovo e che sta sciupando un patrimonio
di fiducia conquistata tra brava gente e con ottime potenzialità, a
causa di questi mediocri politicanti che sono portati dietro i vizi
dei vecchi partiti, ma non le virtù, e pensano solo alla propria
carriera...”
Il
15 aprile 2004, in occasione del rinnovo delle adesioni, il Circolo
di Castel l'Argile stilò il suo bel documento
di intenti e di impegno,
pieno di buoni propositi, per il futuro della Margherita
e di Uniti nell'Ulivo per l'Europa,
che, dietro la spinta di Prodi, si stava ricompattando con lista
unitaria per le candidature alle elezioni europee. Ma i diversi
sistemi elettorali tra amministrative ed europee, costringevano i
partiti dell'Ulivo a presentarsi in alcuni casi insieme, in altri
separati e in competizione, e questo non contribuiva certo alla
coesione e alla chiareza nei confronti degli elettori..
Anche
se poi, accettai, obtorto collo, dietro insistenza del coordinatore
provinciale Paruolo, di mettere il mio nome nella lista dei
candidati della Margherita per la Provincia, nel Collegio di S.
Giovanni in Persiceto, in cui Argile era compreso. Candidata per la
presidenza era Beatrice
Draghetti, che
stimavo e alla cui campagna elettorale collaborai.
Nel
mio modesto depliant elettorale fatto in casa e fotocopiato a mie
spese, sotto il titolo “Perchè
ho accettato di candidarmi per la Margherita” scrissi:
“ Ho
sempre pensato e agito nella consapevolezza che la famiglia è il
nucleo fondante di una società; ma non ci può essere una famiglia
felice in una società ingiusta. Né ci può essere un paese o una
città “isola felice”, se l'Italia, l'Europa e il mondo intero
sono malgovernati e in guerra.
Non
basta far uscire di casa un figlio ben nutrito e ben vestito (quando
ci si riesce....) e con le scarpe tirate a lucido, se poi trova una
strada piena di fango, un'aria inquinata, un ambiente degradato
materialmente e moralmente, un clima sociale incattivito e alimentato
dagli istinti più egoistici e privo di stimoli e valori ideali; se
deve studiare in una scuola sterile e dispersiva; se, al bisogno,
trova servizi sociali e sanitari carenti ed inefficaci; se deve
convivere con tanti altri esseri umani (vicini o lontani) affamati,
emarginati, oppressi o accecati dall'ignoranza, dall'odio razziale o
politico-religioso.
Per
questo ho sempre cercato di impegnarmi anche fuori dall'ambito
famigliare, per quel che potevo nel mio piccolo angolo di provincia,
per contribuire o aiutare chi si impegnava a costruire una società
migliore, nelle piccole e nelle grandi cose. Operando sul territorio,
ho sempre cercato di valorizzare le realtà locali dei piccoli comuni
e difenderne esigenze ed interessi, in una visione di Provincia non
subordinata ma coordinata con la città di Bologna, con pari dignità.
Per
tutte queste ragioni oggi ritengo giusto sostenere il nuovo partito
della Margherita-DL e Beatrice Draghetti... in accordo con un'ampia
coalizione di Centrosinistra, perchè sono convinta che possano e
vogliano meglio di altri lavorare per il pubblico bene.”
Nel comune
di Castello d'Argile
per tentare di battere la lista
civica “Porta Argile”,
capeggiata dal sindaco Massimo Pinardi che si ripresentava con la
stessa formula, il centrosinistra ripropose
Loris Muzzi,
già sindaco nel 1995-1999, che, pur non essendosi ripresentato
allora per un secondo mandato per far posto a Fabrizio Tosi, aveva
lasciato un buon ricordo, né aveva sucitato forti ostilità.
A
rappresentare la Margherita
nella lista di “Progetto
Democratico”
furono scelti Maria
Grazia Cortesi, Agostino Barbieri, Marco Bovina, Daniele Muzzi e
Paolo Resca.
Ma non fu sufficiente a sottrarre voti a Pinardi che nel corso del
suo mandato era riuscito a mettere buone radici e fu
confermato con una maggioranza del 54,4%
dei voti, mentre Muzzi raccolse il 45,6%.
Al Parlamento
Europeo
la lista ulivista fece eleggere per la Circoscrizione
Nord ovest
il DS Pier Luigi
Bersani,
e nella nostra Circoscrizione
di
Nord
Est Enrico Letta e
Vittorio Prodi;
in
Provincia per
la coalizione ulivista fu
eletta Beatrice Draghetti,
della Margherita,
succedendo
a Vittorio
Prodi
che era stato presidente dal 1995. A Bologna fu eletto sindaco con
una lista unitaria di
“Riformisti” Sergio Cofferati.
Ma
il dualismo tra i
due maggiori partiti della colazione, alleati-rivali, continuava a
creare problemi, davanti e dietro le quinte.
Ed era la Margherita
l'anello più debole della catena.
A
farne le spese fui naturalmente anch'io, che comunque ancora una
volta me la cavai senza infamia e senza lode, raccogliendo nel mio
Collegio
provinciale n. 30
1610 voti
con una percentuale del
8,4%,
prima fra le donne candidate in lista (Presidente Draghetti a parte)
e al sesto posto sui 26 Collegi della provincia, subito dopo i
comuni più grossi. Visto nel contesto della media provinciale e
regionale il mio risultato era stato onorevole, ma visto nel
contesto locale fu per me motivo di amarezza raccogliere sotto il
simbolo della
Margherita solo
i 304 voti
che erano stati più o meno gli stessi presi con il simbolo dei
Democratici
nel 1999. Anche se la percentuale presa in Argile, del 9,49%,
era
leggermente superiore a quella media nazionale, era evidente che
l'unione tra ex Democratici
ed
ex Popolari, che
avrebbe dovuto sommare un 10% di voti in più,
non
aveva convinto e molti elettori erano scappati altrove, nei DS
soprattutto, che aumentarono del 5,81% (recuperando i voti persi in
precedenti elezioni), o si sparsero qua e là in una miriade di liste
minori centriste, o in quella neonata di Di
Pietro e Occhetto
(2,25%).
Tra l'altro non aveva giovato anche il fatto
che il portavoce del Circolo di Argile, Angelo Bovina, si era
dimesso dalla carica proprio poco prima delle elezioni per sue
difficoltà personali di dipendente comunale che mal si conciliavano
con una partecipazione attiva in politica, ed avevamo quindi
un'organizzazione piuttosto debole e precaria.
Continuai comunque, ma con sempre minor
convinzione, piuttosto stanca e delusa, a partecipare a qualche
incontro politico locale. Diradai molto, fino a evitarli del tutto
nonostante gli inviti che ricevevo, i contatti con Bologna, anche
perchè diventava molto rischioso per me, data l'età, guidare la
macchina in città di notte dopo stancanti riunioni. Non valeva la
pena rischiare di finire in un fosso o di sbattere contro un palo
per un colpo di sonno per una partecipazione quasi sempre inutile,
in quanto le decisioni erano sempre prese da altri e i miei pareri
restavano inascoltati.
Tra
l'altro, nell'aprile
2004
ero stata eletta
presidente di una nuova piccola associazione denominata “Gruppo di
Studi pianura del Reno”,
che si occupava di storia locale e divulgazione culturale in genere,
fondata due anni prima a S. Giorgio di Piano e rimasta senza guida
perchè la fondatrice e prima presidente si era trasferita in
Inghilterra.
Trovai
quindi più congeniale ai miei interessi dedicarmi a questa
associazione, per la quale curavo la redazione
di un sito web con
articoli e notizie su iniziative culturali nel territorio.
Comunque,
con o senza il mio apporto, le polemiche interne all'Ulivo
continuavano. Scrissi o ricevetti ancora qualche email per
commentare problemi, contrasti e colpi bassi che via via emergevano
tra DS
e Margherita,
che si accusavano reciprocamente di essere “nemici
dell'Ulivo”
a giorni alterni. Ad esempio, nel settembre 2004 sentii l'esigenza
di segnalare agli amici del gruppo del Collegio 18 e all'indirizzo
elettronico dei “cittadini
per l'Ulivo”
un articolo pubblicato il 27 settembre sul quotidiano “Il
Riformista”,
senza firma e quindi espressione del Direttore Antonio
Polito,
alias Massimo D'Alema,
fondatore e ispiratore della linea di quel giornale, da lui voluto
in concorrenza all'Unità,
insieme
alla “sua”
Fondazione Italiani Europei”, creata
dopo le sconfitte elettorali del 1999 e le sue dimissioni da capo del
Governo, per avere un suo spazio di manovra e influenza sulla
politica del centrosinistra. Articolo intitolato “I
nostri dubbi su Romano Prodi. Lui non si fida dell'Ulivo. Ma l'Ulivo
si fida di lui?”.
E io definii quell'articolo “il
più perfido e velenoso attacco che sia mai comparso finora su un
quotidiano “di sinistra (!!??) per minare la credibilità e
l'autorevolezza di Romano Prodi come leader dell'Ulivo e un
significativo segnale di avvertimento....”.
Segnalavo
inoltre un altro articolo in altra pagina dello stesso giornale con
altre frecciatine avvelenate sotto il titolo “Prodi
continua l'offensiva contro Fassino e Rutelli (allora
a capo di DS e Margherita, ndr).
Vuole liste unitarie ovunque e primarie anticipate... “
Mentre su “Repubblica”,
una intervista del giorno prima aveva presentato un Massimo D'Alema
onesto amico e difensore di Prodi.
“Evidentemente
- scrissi
allora - c'è
una maschera e un volto da mostrare a seconda delle convenienze.....
Non so come ci si possa illudere che Romano Prodi riesca a compiere
il miracolo di costruire in tempi brevi una Costituente dell'Ulivo
comprensiva di movimenti vari (troppo sparsi e divisi pure loro
ahimè.... e primarie vere e utili dalle quali possa uscire come
leader incontrastato...”
2005-2008.
Sulle montagne russe, tra vittorie e sconfitte di Prodi, di nuovo al
governo tra 2006 e 2008, mentre nel 2007 dall'unione di DS e
Margherita nasce il Partito Democratico, con le primarie, a cui
partecipo.
Il
2005 fu ancora un anno di transizione tra alti e bassi, passi avanti
e passi indietro verso una Unione
di forze politiche di centrosinistra in preparazione delle elezioni
politiche del 2006 con Rutelli e D'Alema che facevano a gara ognuno
a tirare il carro per conto suo, chi con la “gamba
di centro”,
chi con “la
gamba di sinistra”,
per propri reconditi fini personali.
A
Bologna fu eletto (o nominato, non ricordo la differenza) Giuseppe
Bacchi Reggiani
come coordinatore provinciale per la Margherita,
frutto
di “
un accordo raggiunto dopo una lunghissima trattativa....”
(comunicato
del 14-1-2005)
che
la dice lunga sui contrasti interni e le rivalità tra vari
candidati alle cariche.
Una
Assemblea federale del 19/20 maggio sancì addirittura la
formazione
all'interno della Margherita di una maggioranza e di una minoranza,
che
si dichiarava “opposizione”
e alla quale veniva assicurato ”
un quinto della rappresentanza parlamentare “
della Margherita e sostegno finanziario per sue attività ......
Insomma, una corrente organizzata e finanziata in perfetto stile
vecchia DC!!! Nel contempo si prometteva pieno sostegno a Prodi e
si vagheggiava già un futuro “partito
democratico”
in cui avrebbero convissuto tutti uniti felici e contenti.
In seguito alle prese di posizione di Rutelli e
della direzione nazionale qualcuno del nostro Coordinamento se ne
andò subito sbattendo la porta, io mandai l'ennesima lettera per
lamentare la perenne litigiosità, l'abitudine a calare dall'alto le
decisioni, e per dire che avrei sostenuto ancora Margherita e Ulivo,
nonostante tutto, ma non intendevo associarmi ad alcuna corrente di
maggioranza o minoranza, “cattolici” o “prodiani” che
volevano farsi belli coi meriti del capo brillando di luce riflessa,
o cortigiani finti ulivisti per opportunistica ricerca di visibilità
per fare carriera.
Come
Dio volle si arrivò poi nel 2006
alle elezioni politiche con un'alleanza di partiti e partitini
diversi, di centro, di centrosinistra e di sinistra, che, grazie al
meccanismo elettorale misto, maggioritario e proporzionale portò ad
una risicata vittoria
e di nuovo al governo Romano Prodi,
a capo di una coalizione battezzata “Unione”,
tenuta
insieme con un collante fragilissimo, tra cento contraddizioni
interne che impedirono di fatto una chiara e incisiva azione di
governo, nonostante la buona volontà di Prodi e pochi altri.
Intanto
Veltroni lanciava con gran spolvero il progetto
di Partito Democratico,
che doveva nascere ufficialmente il 14
ottobre 2007 con
le primarie per eleggere il primo segretario del nuovo partito.
Ma
le due anime dei contraenti erano sempre inquiete e in lotta tra
loro e al loro interno, se nel marzo
2007
scoppiava una ennesima tempesta. “Monari
firma per il Pse, bufera nella Margherita”
titolava la cronaca di Bologna del 10/3 de “La
Repubblica”,
sempre informatissima e con foto pronta di Monari in posa da
statista. Il Coordinatore regionale della Margherita aveva firmato
un documento dell'Ulivo che proponeva l'approdo del costituendo
Partito Democratico nel Partito socialista europeo,
col sostegno del segretario dei DS Andrea De Maria e di Pierluigi
Bersani allora ministro con Prodi. Apriti cielo! Subito Castagnetti
insorse, seguito da Dario Franceschini e Francesco Rutelli. Monari
per una volta dovette fare marcia indietro (ricordandosi che la
Margherita non corrispondeva al PCI da cui proveniva e di cui forse
nutriva nostalgia...), correggendosi e precisando che si trattava
solo di un contributo suo personale che non impegnava tutta la
Margherita. Intanto erano in corso in un hotel bolognese le grandi
manovre per eleggere il nuovo coordinatore provinciale e gli ex PPI
si distinguevano e si agitavano nella competizione; per accordarsi
infine su Gianluca
Benamati,
e Luca
Rizzo Nervo
come coordinatore per la città.
Io
non capivo tutta questa specie di assalto alla diligenza degli ex PPI
o “cattolici”, tipo Giuliani e altri, visto che di lì a poco
la Margherita
avrebbe dovuto sciogliersi per unirsi ai DS nel nuovo Partito
Democratico.
Ma pare che fosse invece molto importante per le future ripartizioni
di cariche. Quella volta venne a Bologna Dario Franceschini a
placere gli animi di vincitori
e vinti
e concordare l'ennesimo compromesso con Monari.
Con la
fine della Margherita cessava di esistere anche il nostro Circolo di
Argile e il Coordinamento del Collegio 18 di
“Amici
della Margherita”
che avevano aderito al PD, instaurando nuovi rapporti con nuovi
interlocutori, ognuno nel proprio Comune. Quell'esperienza non fu
comunque del tutto inutile, se non altro perchè favorì la reciproca
conoscenza di persone ed esperienze di diversi Comuni e indicò
anche un metodo di comunicazione e collaborazione che avrebbe
dovuto avvicinare la “base” agli organi direttivi bolognesi,
cercando di rappresentarne le istanze con più forza. Dal gruppo che
partecipò più assiduamente ai nostri incontri sono poi usciti
vicesindaci e assessori che si sono impegnati e si impegnano tuttora
nelle rispettive amministrazioni comunali, di Argile e degli altri
comuni.
Con
ulteriore sforzo di buona volontà e spirito di sacrificio mi
prestai a far parte del Comitato Promotore del Partito Democratico
di Castel D'Argile,
con i soliti volonterosi degli ex
Comitati Prodi, della Margherita, di Progetto Democratico, ex PPI ed
ex DS; e
collaborai pure ai seggi delle primarie, guadagnandomi il diploma,
pardon, l'attestato
di partecipazione,
come “fondatore
del Partito Democratico”
... “una
casa comune, grande e nuova. Adesso un'Italia nuova” firmato
Walter Veltroni
vincitore
delle primarie del 14 ottobre 2007.
Ma
la casa nuova si portava dentro molti “grandi vecchi” e vecchi
vizi se nel
2007-2008
proprio la nascita del PD con conseguente indebolimento del disegno
ulivista prodiano e della premiership di Prodi. Spostando
l'attenzione su se stesso come neo segretario e leader del partito
più forte, con manifeste ambizioni di “fare da sè”, Veltroni,
finì per favorire la ripresa delle ostilità interne all'Unione
e
alla variegata e risicatissima maggioranza di 10
partiti che
sosteneva il governo e che comprendeva di nuovo i Comunisti
di Bertinotti (PdCI), Socialisti, Verdi, Italia dei Valori e Udeur di
Mastella.
E fu quest'ultimo a dare il colpo di grazia con le sue
dimissioni da Ministro
della Giustizia
(!!!), nel gennaio
2008 in
seguito alla incriminazione della moglie e di lui stesso per reati
vari. Ma a mettere
in minoranza Prodi furono anche il senatore dipietrista De Gregorio,
passato (dietro lauto compenso ) al PDL, e l'inflessibile
Franco Turigliatto di
Rifondazione,
oltre
all'Udeur e a Dini,
espressione di partitini che osteggiavano i progetti di nuova legge
elettorale maggioritaria e il referendum abrogativo della legge del
2005. Senza dimenticare Bertinotti,
Presidente della Camera
che già dal 2007 definiva “fallimentare
“ il governo Prodi.
Dopo
qualche mese di tribolazione e di governo provvisorio in
prorogatio
per l'ordinaria amministrazione, con tentativo fallito del
Presidente
del Senato Franco Marini,
su incarico del Presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano
di formare una nuova maggioranza per concordare e approvare una
nuova legge elettorale, fu sancita la decadenza ufficiale del governo
Prodi il 7 maggio
2008.
Le
conseguenti elezioni politiche furono vinte di nuovo da Berlusconi e
perse dal candidato del centrosinistra Walter Veltroni, che, dopo
qualche mese, si dimise da segretario del PD, con
una fuga
precipitosa e forse intempestiva, dopo aver suscitato tante speranze
di poter incarnare e realizzare un
partito nuovo.
La
situazione caotica e le tante, troppe, contraddizioni che io vedevo
all'interno del nuovo partito alla cui fondazione avevo
contribuito, mi indussero nel
luglio del 2008
a scrivere alla coordinatrice
del Circolo locale, Maria Tasini,
che non intendevo
rinnovare la mia iscrizione al PD
(e che tuttora non ho rinnovato), pur continuando a votarlo e a
collaborare alle primarie da semplice elettore,
simpatizzante/critico.
2009. Il
caso Englaro e il mio sostegno alla proposta di Ignazio Marino per il
testamento biologico
L'occasione
per scrivere qualche altra lettera a esponenti con cariche nel PD,
me la diede il caso di Eluana
Englaro, un caso umano drammatico che
mi coinvolse molto sia sul piano emotivo che su quello razionale;
oltre che per il fatto in sé, perchè avevo ancora in mente il
penoso ricordo di mia madre rimasta per alcune settimane in coma,
intubata, ad aspettare una morte certa, che non veniva grazie alla
alimentazione artificiale che nessun medico poteva o voleva
sospendere. Che questa povera ragazza fosse ancora in quella
condizione dopo 17 anni mi pareva una cosa mostruosa; e ancor più
mostruoso mi pareva che non si volesse permettere al padre il modo
legale di porre fine a quell'inutile strazio a causa della mancanza
di una legge chiara e dell'ostilità manifestata dal mondo
“cattolico”, gerarchie ecclesiastiche vaticane in testa e
parlamentari al seguito, non solo del centrodestra che era al
governo, ma anche con qualche apporto dal centrosinistra, nonostante
tra le sue fila ci fosse il dott.
Ignazio Marino, pure cattolico, che
aveva presentato un progetto di legge sul “testamento
biologico” che avrebbe garantito la libertà di scelta del paziente
di accettare o no qualsiasi intervento terapeutico,
previa dichiarazione espressa in precedenza.
Scrissi
una prima lettera il 9
febbraio
2009 al PD bolognese perchè la inoltrasse
ai parlamentari del PD impegnati allora nella discussione del
disegno di legge del governo Berlusconi
che voleva imporre
la alimentazione e idratazione forzata ai malati in stato terminale
o comunque senza speranza di ripresa, escludendo tale intervento da
quelli che ogni malato ha diritto di poter rifiutare, per libera
scelta garantita dalla Costituzione, pur in presenza di volontà
dichiarata in precedenza. “Alimentazione
e idratazione non sono terapie, ma atti irrinunciabili per non far
morire di fame e di sete il paziente”
sostenevano i fautori di questa legge.
Nella
mia lettera spiegavo le motivazioni che mi spingevano a prendere
posizione a favore del progetto di legge di Ignazio Marino e contro
quello del governo, e contestavo la “posizione
contraddittoria di alcuni parlamentari del PD che si definiscono
cattolici, i quali, pur giudicando il comportamento del governo una
forzatura per scardinare la Costituzione... dichiarano che voteranno
a favore del disegno di legge del governo per salvare la loro
“libertà di coscienza” e “la vita di Eluana”.
E
io affermavo che “la
libertà di coscienza dei parlamentari ha un limite ... se un
parlamentare usa la sua libertà di coscienza per privarmi della mia
libertà personale di scegliere e decidere per la mia vita, non mi
rappresenta, non mi garantisce e io non gli darò mai più il mio
voto ... la sua libertà di coscienza potrà esercitarla nelle
questioni che riguardano la sua vita personale, ma se è democratico
ci deve permettere di poter esercitare anche la nostra libertà
personale, che è “inviolabile” (art. 13)...
“Trovo
estremamente contraddittorio che si affermi che la vita umana è
indisponibile, ma poi si voglia disporre arbitrariamente e
d'autorità di quella di Eluana Englaro. Chi ce ne dà il diritto? I
“cattolici” professi dicono di volerla “salvare”. E perchè
se lei stessa non voleva essere costretta a sopravvivere in quelle
condizioni? .. e perchè non si vuol tener conto della volontà del
genitore-tutore, già riconosciuta come legittima dalla
Cassazione?.....Come può un vero cristiano giudicare con tanta
crudeltà e astio un padre che vive questa tragedia da 17 anni
definendolo “assassino” se chiede di poter legalmente porre fine
a questa pena , non voluta da Dio ma creata dagli uomini?
Io
sono fermamente convinta che questa “salvezza” sia in realtà
una “condanna” alla sopravvivenza di una vita che vita non è ..
e stupisce che proprio la Chiesa, che pur vuol dare un senso alto
alla vita umana intesa come spiritualità e non solo come
materialità, si sia impuntata in questa difesa della sopravvivenza a
oltranza di un corpo non più in grado di esprimere la sia pur
minima forma di spiritualità, di pensiero, di libertà e di rapporto
consapevole con le persone e col mondo esterno...”
E
quanto alla legge governativa, scrivevo “
trovo ancor più pretestuosa la distinzione che si vuol fare tra
terapie, che si possono legittimamente rifiutare, e alimentazione e
idratazione che invece si renderebbero obbligatorie. Ma non è un
controsenso?....non è accanimento terapeutico e crudeltà
costringere un malato a sopravvivere il più a lungo possibile
immettendogli forzatamente con un sondino liquidi nutrienti che non
lo curano ma che prolungano semplicemente l'esitenza di un corpo
senz'anima.....?”.
Idee
simili avevo già espresso per iscritto pochi giorni prima a Mauro
Bosi, il consigliere regionale che avevo sempre appoggiato e col
quale avevo condiviso il percorso politico, dai Democratici alla
Margherita, al PD. Ma la sua presa di posizione pubblica coincidente
con quella della Chiesa istituzionale, e della Binetti, e la sua
sempre crescente caratterizzazione come “cattolico” mi aveva
spinto ad esprimere il mio dissenso e la mia dissociazione,
reclamando il dovere
della laicità degli eletti nei confronti dei loro elettori, credenti
e non credenti, e il dovere della “laicità delle istituzioni che
non è una religione, o contro la religione, ma una regola
democratica che consente uguali diritti a tutti i cittadini,
religiosi e no, di vivere e morire secondo le proprie convinzioni,
senza pretendere di imporle gli altri”.
La mia lettera, diffusa anche ad altri
simpatizzanti PD locali, trovò consenso e approvazione da parte
della coordinatrice locale del PD e di altri. E del resto anche nel
mondo cattolico di base, tra la gente comune, senza cariche, era
diffuso il dissenso per le forzature delle posizioni vaticane e la
strumentalizzazione politica che del caso Englaro il Polo
berlusconiano e certe autorità ecclesiastiche avevano fatto con
manifestazioni aggressive e offensive contro il padre di Eluana.
Pochi giorni dopo, fu comunque autorizzato il
ricovero di Eluana Englaro in una struttura ospedaliera dove si
procedette ad applicare un protocollo di progressiva riduzione
dell'alimentazione sotto sedazione, finchè il suo cuore si fermò
e la sua morte, già in atto a livello cerebrale da 17 anni, divenne
definitiva con la cessazione delle altre funzioni corporee. Pesava,
la poverina, dopo 17 anni di immobilità, 34 chili.
Questo
caso, oltre alle ricorrenti manifestazioni di appoggio di alti
prelati al governo Berlusconi, che come uomo e come politico era
quanto di meno cristiano si potesse immaginare, mi hanno portato ad
allontanarmi decisamente dalla Chiesa ufficiale,
e a sentire maggiormente l'esigenza di una politica più laica e
autonoma rispetto ad un gerarchia ecclesiastica troppo invadente e
restrittiva di ogni libertà di scelta e di coscienza per credenti e
non credenti, mentre rivendicava per se stessa ogni rispetto,
privilegio e autorità.
Scrissi
poi ad Andrea De Maria, segretario provinciale di Bologna, il 24
febbraio 2009. per confermare la mia critica alla “linea
compromissoria e ondivaga del partito a livello nazionale”
sia “sul
tema della giustizia”
che “sul
modo troppo blando e incerto di fare opposizione”,
esprimendo anche “la
mia grande delusione quando ho visto la spaccatura sul tema del
testamento biologico e
la sostituzione del prof. Ignazio Marino con Dorina Bianchi “, che
già si era espressa a favore del decreto legge governativo, come
rappresentante del PD nella
commissione parlamentare che doveva predisporre il progetto di
legge.
Prima
di rinnovare la mia adesione al PD –
concludevo - resto
in attesa di vedere comportamenti coerenti e chiari in difesa della
legalità e della laicità, a cominciare dal progetto di legge
Marino...
Il progetto di legge governativo fu poi
rinviato sine die, anche perchè conteneva formulazioni
incostituzionali e ancora non si riparla di legiferare su questa
materia.
Unica
nota politicamente positiva di quell'anno
2009 fu la vittoria alle elezioni comunali del 6-7 giugno della lista
“Punto di svolta” , presentata
dal centrosinistra con molti giovani e con
Michele Giovannini come
candidato sindaco; candidato
scelto con regolari primarie locali,
tenute in febbraio, e che avevano decretato la maggioranza di
preferenze per lui, rispetto alla concorrente Maria
Tasini,
“storica” figura della sinistra locale, coordinatrice (tuttora
in carica) del PD e moglie dell'altrettanto “storico” ex
segretario del PCI-PDS-DS Fabrizio Tosi. Non mi impegnai
direttamente per questa campagna elettorale, ma partecipai alle
primarie, e pur apprezzando sul piano personale l'onesto e assiduo
impegno di Maria, caldeggiai il necessario rinnovamento rappresentato
dal giovane Michele, che è poi stato giustamente premiato dagli
elettori.
Quando
si arrivò il 24 ottobre 2009 a nuove primarie nazionali per eleggere
il nuovo segretario del PD, dopo le dimissioni di Veltroni e la
gestione provvisoria di Franceschini (che comunque per quei mesi
apprezzai), sostenni
pubblicamente la candidatura del prof. Marino, che naturalmente non
vinse...
pur con il suo bel programma che puntava sul rilancio
del merito e dei diritti civili, sulla salute, la laicità e
l'ambiente, raccogliendo solo il 12%.
Tutto lo staff locale, regionale e nazionale, vecchi feudatari e
valvassini del partito, appoggiarono Bersani
che vinse col 52% e
Franceschini
arrivò secondo col 33%.
2009-2013
Grazie a internet , ora il mio “impegno politico” si manifesta
solo sulla tastiera del Pc con “parole al vento”, commenti su
blog e giornali. Mentre continuo a dedicarmi alle ricerche storiche.
Più o meno accade la stessa cosa con le
primarie del 2012.
Tra
i 5 candidati in lizza,
Bersani, Matteo Renzi, Laura Puppato, Nichi Vendola e Bruno Tabacci,
scelsi di appoggiare
pubblicamente Laura Puppato,
perchè mi pareva potesse rappresentare un Partito Democratico che
più si avvicinava alla mia idea.
Ovviamente era un candidato destinato a
perdere, perchè il “modello” che rappresenta è minoritario
nel partito; sicuramente ai vertici, ma forse anche alla base, che ha
preferito affidarsi
“all'usato
sicuro”
di Bersani o al “nuovo
rottamatore
“, per immagine e comunicativa facile, rappresentato dal
presenzialista Renzi, molto “pompato” dai giornali, anche di
centrodestra, ma poco chiaro nei contenuti e nei suoi obiettivi
reali.
Ha vinto
di nuovo le primarie Bersani,
che io stessa ho poi appoggiato al secondo turno. Ma la mancata
vittoria alle elezioni del 25 febbraio 2013, quando il PD si è
ritrovato quasi a pari voti con PDL e M5S , dopo una disastrosa
gestione del dopo voto, Bersani ha dovuto dare le dimissioni.
Il
vergognoso agguato
dei 101 o 120 esponenti del PD che
nel marzo scorso hanno affossato
la candidatura di Prodi alla Presidenza della Repubblica con
conseguente rielezione di Napolitano,
non è stato un episodio nuovo o casuale, e non imputabile al solo
Bersani, ma è il
compimento di una lunga storia di conflitti interni che ha radici
lontane e
a quanto pare inestirpabili nel centrosinistra, dove troppi hanno
acconsentito ad un matrimonio di interesse con diverse e opposte
mire: chi voleva farne una riedizione della Dc e chi voleva
raggranellare voti al centro tra i moderati per allargare
semplicemente l'ex PCI/ PDS/DS guidato per sempre da uomini “suoi”.
Chi
come me e tanti altri della base sognava un Partito Democratico non
democristiano né comunista, ma diverso e nuovo, nelle persone e nei
contenuti, adeguato ai tempi e alle esigenze contemporanee, simile ai
partiti della sinistra democratica europea o nordamericana, sta
ancora aspettando
un miracolo che
forse non avverrà mai.
Le
mie rimostranze sul modo di impostare e gestire il partito non erano
e non sono poi così campate in aria o frutto di incontentabilità
personale, se il direttore
dell'Unità Claudio Sardo,
nel suo editoriale del 22 settembre 2013, ha scritto tra l'altro
“....
Lo statuto del Pd è un testo in larga parte sbagliato – come
ripete Guglielmo Epifani – spesso inservibile alla circostanza
concreta. Non è un caso che, ogni qualvolta debba essere applicato,
ha bisogno di deroghe o emendamenti. Non è un caso che proclama la
coincidenza tra segretario di partito e candidato-premier, ma il solo
tesserato Pd diventato premier è stato un vice segretario, Enrico
Letta....”
E
ora ci ritroviamo in questo pasticcio di inciucio, con un governo
PD-PDL, costretti a subire i ricatti del pregiudicato Berlusconi, e
sotto l'opprimente invadenza di un presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano,
che si comporta come un monarca dell''800 e che ci impone da due
anni “larghe
intese” che stanno soffocando non solo il PD, ma la normale
dialettica democratica.
Presto saremo chiamati a nuove primarie. Ma
non so se stavolta vi parteciperò, perchè sono stanca di vedere
deluse le mie speranze, e sono stanca di contribuire ad eleggere
persone che poi fanno tutto il contrario, non tanto e non solo di
quello che vorrei io, ma che tradiscono le promesse fatte a tutti
in campagna elettorale e quei valori essenziali che costituiscono il
patrimonio ideale che caratterizza e dà un senso ad un partito in
linea con la Costituzione.
Il
guaio è che al momento non trovo proposte alternative credibili e
accettabili per me, non potendo certo appoggiarmi al centrodestra
peggiore d'Europa, ancora inquinato dal Berlusconismo, oltre che
dalla presenza inamovibile di Berlusconi; e nemmeno mi fido di
quell'altro padroncino confusionario e un po' paranoico che si è
costruito un partito di sua proprietà all'insegna del “vaffanc...”,
l'ex comico Beppe Grillo fattosi capopopolo, in sodalizio con un
imperscrutabile visionario come tal Casaleggio, cui non vorrei certo
vedere affidata l'Italia.
Non
mi resta che “divertirmi” (si fa per dire...) , o sfogare la mia
frustrazione, scrivendo commenti sul mio blog e ai giornali, sotto
gli articoli su fatti che più mi interessano o che suscitano la mia
indignazione o disapprovazione, con lo pseudonimo che più mi si
addice: “Cassandra
testarda”
Ne
ho già scritti a centinaia, dal 2009 ad oggi, e ne conservo copia
in file sotto il titolo “Parole
al vento”. Tanto
perchè sia chiaro a cosa servono e dove vanno a finire.
Se le
parole, anche su internet, volano, almeno gli scritti rimangono.
Per
questo ho continuato a leggere, documentarmi e scrivere per la carta
stampata, pubblicando (sempre in proprio, con l'aiuto di qualche
sponsor) altri due libri, di dimensioni più “umane” rispetto ai
primi due, confezionati in file al computer con l'aiuto di mia figlia
Federica, sempre dedicati alla storia di Castello d'Argile: “Le
strade di Castello d'Argile”,
uno stradario
storico toponomastico uscito
nel 2008, e, nel 2011, “I
Mastellari”
una saga famigliare argilese iniziata nel 1600 con generazioni di
muratori e terminata con due emigrati: il pittore
Filippo a
Bogotà e poi a Cuba, e il fratello muratore
Amadeo
insediatosi a Panama, dove vivono tuttora i loro discendenti.
Ho
poi collaborato a due iniziative collettive di ricerca storica
(sempre gratuitamente), insieme ad altri sudiosi volontari del Gruppo
di Studi pianura del Reno,
coordinate dal Museo
della civiltà contadina di S. Marino di Bentivoglio, e da Docenti
dell'Università di Bologna, con
contributi miei relativi alla situazione argilese, sui temi:
“Mulini, canali e
comunità della pianura bolognese tra Medioevo e Ottocento”
(2009) e “Tutti a
scuola? L'istruzione elementare nella pianura bolognese tra Otto e
Novecento”
(2013); le relazioni sono state pubblicate in due volumi editi da
Clueb
e sono acquistabili in libreria.
E
mi sono pure voluta cimentare nella critica biblica, dopo anni e anni
di letture di testi sacri e profani, stampando, in poche copie
tramite “ilmiolibro.it”(
reperibili su ordinazione o scaricabili gratuitamente dal mio blog)
un libro intitolato “Non
nominare il nome di Dio invano”,
con le mie osservazioni critiche sui primi 5 libri della Bibbia, da
“lettore
diversamente credente”,
anzi, eretica
rispetto
ai dogmi elaborati e imposti nel corso dei secoli dalle gerarchie
ecclesiastiche e al nefasto uso politico della religione che si è
sempre fatto e si continua a fare. Ho ritenuto utile e doveroso far
rilevare quanto sia “relativo”,
contraddittorio,
superato e discutibile il messaggio che viene da testi arcaici
ritenuti impropriamente “sacri” e “dettati da Dio”,
quando sono in realtà frutto delle convinzioni di uomini d'altri
tempi, espressione in una cultura religiosa ancora legata a
mitologie e a un'idea di Dio antropomorfa (simile a quella del Giove
degli antichi greci) e al servizio di un solo popolo, quello ebraico,
che si è voluto ritenere “ eletto” da Dio ma che è stato uno
dei più perseguitati della storia.
Magda Barbieri
Nota
finale
Quando
mi soffermo a pensare a tutte le cose che ho fatto dal 1973 in poi a
Castello d'Argile, mi chiedo perchè mai mi sono impegnata tanto per
un paese che per tanti suoi aspetti non amavo e che non mi amava, o
quanto meno non mi conosceva o non mi capiva, forse per colpa mia e
della mia scarsa capacità comunicativa e di relazione, che si
accendeva solo quando avevo qualche “causa” per cui battermi e si
spegneva subito dopo.
La
risposta sta forse nella mia determinazione di voler mettere in
pratica la mia idea di dovere civico e di cittadinanza attiva,
convinta che fosse necessario per la realizzazione di una democrazia
partecipata dal basso, pur da questo piccolo angolo di mondo,
apparentemente insignificante e ininfluente.
Ciò
che mi ha più deluso è stata la sensazione che la mia
partecipazione spontanea senza secondi fini o mire di carriera
politica personale, sia stata poi nei fatti usata per soddisfare mire
altrui, a più alto livello, senza raggiungere quelli che erano i
miei obiettivi e scopi di bene comune.
Spero
che comunque il mio impegno sia servito qualche volta a produrre
qualcosa di buono e di utile, o a favorire eventi positivi. Ma ho
molti dubbi in proposito. Anche se, potendo tornare indietro,
probabilmente rifarei tutto quello che ho fatto, perchè in quel
tempo e in quelle circostanze, mi sembrava la cosa giusta.
Aggiornato
al 13 ottobre 2013
PRO MEMORIA SULLA ATTIVITÀ CIVICO- POLITICA e LETTERARIA
di MAGDA BARBIERI
Indice
cronologico
Dal 1975
/1977 – Impegno negli Organi collegiali della scuola e nel comitato
di gestione della Biblioteca. Fondazione di una Associazione Genitori
Argilesi (A.Ge.A). Collaborazioni giornalistiche nel mondo della
scuola.
1978 /1979
– Prima battaglia contro l'inserimento del Comune di Castello
d'Argile nel Consorzio Socio Sanitario di S. Giorgio di Piano - Usl
25.
Inizia la
collaborazione con il Resto del Carlino per aiutare la “causa”
1 gennaio
1980. Prima battaglia persa. La Regione mette Castello d'Argile
nell'USL 25
1981.
Per
motivi di famiglia devo dire addio all'insegnamento e al mondo della
scuola
1983.
Contro le bollette trimestrali del gas a consumo presunto. Volantini
e referendum (vinto)
1983-84.
Contro la nuova Circonvallazione (o raccordo tra la Provinciale Sud
e la Provinciale Nord). Opposizione e petizione inascoltata
1984/1985/
1987. Nuova battaglia per uscire dall'USL 25 ed entrare nella USL 30
di Cento. Vinta, questa volta
1987-89.
Arriva la vendetta dell'USL 25 nei miei confronti: una querela per
un articolo su un caso di inadeguato servizio di Pronto Soccorso a
S. Pietro in Casale. Poi ritirata, anche in seguito alla mia
controquerela per volantini dell'USL diffamatori contro di me.
1989 - La
Direzione Provinciale del Tesoro “scopre” dopo 9 anni che la mia
attività giornalistica è incompatibile con la pensione e pretende
da me la restituzione di 53 milioni per “recupero erariale”!!!
Dimissioni forzate da Il Resto del Carlino.
1989 -
Comincio a dedicarmi alla ricerca di documenti e allo studio per
scrivere la storia di Castello d'Argile.
1992-1993
La proposta di chiusura della scuola elementare della frazione
Venezzano divide di nuovo la popolazione tra pro e contro. E mi
ritrovo a presiedere un nuovo comitato e a promuovere una nuova
petizione.
1992-1993-
Osservazioni al PRG e petizione contro il progetto di nuova strada
in Bisana
1993. Si
riapre la questione delle USL col nuovo Piano Sanitario Nazionale e
Regionale che impone nuovi accorpamenti in ambiti territoriali
coincidenti con i confini di Provincia. Argile e Pieve devono
separarsi da Cento e riaggregarsi a S. Giorgio e alla zona Bologna
Nord. Nuova petizione sovracomunale, insieme a medici e cittadini di
Cento e di Pieve per una Usl comprendente la n. 30, la n. 25 e la n.
26. Inascoltata.
1995 Si
costituisce, per mia iniziativa, il “Gruppo di impegno civico
argilese” a sostegno della candidatura di Prodi a livello
nazionale e di una lista “civica” di centrosinistra a livello
locale.
1996 – Il
primo Comitato per l'Ulivo, tra speranze e difficoltà.
1995-1999.
4 anni da Assessore alla Sanità e Servizi sociali: i problemi di
gestione e fruibilità delle strutture sanitarie e sociali, in Argile
e nel nuovo ambito USL Bologna Nord, la Comunità alloggio, il
Centro Sociale culturale, il nuovo poliambulatorio...
1996-1998.
I difficili rapporti con la Seabo (ex Acoser, ex AMGA) per il
problema dell'acqua “rossa”; mai risolto, nonostante le tante mie
sollecitazioni nella apposita Commissione.
1996-1998.
Dalla prima vittoria
dell'Ulivo nel 1996 alla prima sconfitta nel 1998.
1999 . In
Argile, in giugno, la lista “Progetto democratico” con un
candidato sindaco DS, perde.
In Italia, Prodi e Parisi fondano il
nuovo partito dei “Democratici” dell'Asinello
2000-2001-2002.
Da “I Democratici” alla Margherita, al nuovo Ulivo guidato da
Rutelli. Ma vince di nuovo Berlusconi. E la Margherita esordisce a
Parma con la fuga di Parisi. Più che un percorso politico, una Via
Crucis
2002-2004.
Costituisco un Circolo della Margherita ad Argile e curo la
segreteria del Coordinamento dei Circoli del Collegio 18. Candidatura
mia in lista per la Provincia nel 2004
2005-2008.
Sulle montagne russe, tra vittorie e sconfitte di Prodi, di nuovo al
governo tra 2006 e 2008, mentre nel 2007 dall'unione di DS e
Margherita nasce il Partito Democratico, con le primarie, a cui
partecipo.
2009. Il
caso Englaro e il mio sostegno alla proposta di Ignazio Marino per il
testamento biologico.
2009-2013
Grazie a internet , ora il mio “impegno politico” si manifesta
solo sulla tastiera del Pc con “parole al vento”, commenti su
blog e giornali. Mentre continuo a dedicarmi alle ricerche storiche.